HUMBOLDT. SULLA PRODUZIONE DELL’ORO E DELL’ARGENTO CONSIDERATA NELLE SUE FLUTTUAZIONI. Secondo un’asserzione del vecchio Erodoto (III. 106), le più belle produzioni toccarono alle estremità della terra, nella disuguale distribuzione dei beni e dei tesori del suolo. Quest’asserzione non fondavasi solamente su quel tristo sentimento particolare all’umanità, che il benessere risiede lungi da noi; ma esprimeva ancora quel fatto naturale, che gli Elleni, abitanti sotto la zona temperata, ricevevano, nel loro commercio coi popoli, l’oro e le droghe, l’ambra e lo stagno, delle contrade più remote. A misura che il commercio dei Fenicii, quello degli Edomiti sul golfo d’Acaba, quello dell’Egitto sotto i Tolomei e i Romani, sollevarono insensibilmente il velo da cui per sì lungo tempo erano state coperte le coste dell’Asia meridionale, si cominciò a ricevere direttamente i prodotti della zona torrida, e la viva e mobile immaginazione degli uomini non cessò di respingere sempre più verso l’Oriente l’esistenza dei tesori metallici della terra. Due volte, all’epoca, tanto importante per il commercio, dei Lagidi e dei Cesari, come sulla fine del quindicesimo secolo, al tempo delle scoperte portoghesi, il medesimo popolo, gli Arabi, ha mostrato all’Occidente la via delle Indie. A partire da quel momento Ophir (l’Eldorado di Salomone) fu respinto sino all’est del Gange. È colà che s’immaginava Criso, il quale occupò per lungo tempo i viaggiatori del medio evo, e che fu riguardato ora come un’isola, ora come una parte del Chersoneso aureo. La gran quantità d’oro che Borneo e Sumatra mettono ancora oggidì in circolazione, secondo John Crawfurd, spiega l’antica celebrità di quel paese. Vicino di Criso, il paese dell’oro, scopo dei navigatori che partivano per l’India, doveva trovarsi, per un necessario rapporto e per una specie di simmetria, secondo le idee d’un geografo sistematico, un paese d’argento, un’isola Argira, come per riunire i due metalli preziosi (le ricchezze di Ophir e quelle del Tarteno iberico). I miti geografici della classica antichità si riproducono, con diverse alterazioni, nella geografia del medio evo. Troviamo, in quella degli Arabi Edrisi e Bavini, all’estremità del mare delle Indie, un’isola Sahabet, coperta di sabbia d’oro, e allato ad essa Saila (che non si deve confondere con Ceylan o Serendib) in cui i cani e le scimmie portano collari d’oro. All’idea d’una grande distanza si univa, come segno caratteristico della vera patria dell’oro, e di tutti i prodotti preziosi della terra, un’altra idea, quella del calore dei tropici. « Finché Vostra Eccellenza non troverà uomini neri, scriveva nel 1495 un lapidario catalano, Mosson Jaime Ferrer, all’ammiraglio Cristoforo Colombo, non potrà aspettarsi grandi cose nè veri tesori, come le spezierie, i diamanti e l’oro ». Questa lettera si è recentemente trovata in un libro stampato a Barcellona nel 1845 e che porta questo titolo singolare: Sentencias catholicas del divin poeta Dant. La ricchezza delle miniere d’oro dell’Ural, che si estende nel bacino settentrionale del Volga sino al punto in cui il suolo si disgela appena in estate, i diamanti che sono stati scoperti da due de’ miei compagni presso il 60° di latitudine, sul versante europeo dell’Ural, nella spedizione che io ho fatta per ordine dell’imperatore Nicola l’anno 1829 , non vengono precisamente in appoggio all’ipotesi, che stabilisce una connessione tra l’esistenza dell’oro e dei diamanti, da un lato, e dall’altro il calore dei tropici e gli uomini neri. Cristoforo Colombo, che attribuisce all’oro un valore morale e religioso, « perchè, egli dice, chi lo possiede arriva a tutto in questo mondo, anche (pagando senza dubbio le messe) ad aprire il paradiso per molte anime »; Cristoforo Colombo era affatto partigiano del sistema del lapidario Ferrer. Egli cercò Sipangou (il Giappone), che passava per l’isola aurea Criso; e quando, il 14 novembre 1492, passò allato alle coste di Cuba, che egli considerava come parte del continente dell’Asia orientale (Catay), scrisse nel suo giornale: « A giudicarne dal gran calore che io soffro, bisogna credere che il paese sia molto ricco d’oro ». È così che certe false analogie fecero dimenticare ciò che l’antichità classica avea raccontato sui tesori metallici dei Massageti e degli Arimaspi, alla estremità settentrionale d’Europa; dico d’Europa , perchè il paese piano e deserto dell’Asia settentrionale, l’odierna Siberia, passava, colle sue foreste di sappino, per essere una monotona continuazione delle pianure belgiche, del Baltico e della Sarmazia. Reise nach dem Ural, dem Altaï und dem Kaspischen Meere von A. V. Humboldt, G. Rose et G. Ehsenberg, tom. I, pag. 352-373. El oro, scrive Colombo alla Regina Isabella, es excellentissimo, con el se hace tesoro y con el tesoro quien lo tiene, hace quanto quiere en el mundo y llega a que hecha las animas a paraiso. Vedasi intorno a questo elogio dell’oro il mio Esame critico della storia, della geografia, e dei progressi dell’astronomia nautica, nei secoli XV, XVI (infoglio, pag. 38 e 131). Erodoto, III, 116. Abbracciando con un colpo d’occhio la storia delle mercantili relazioni d’Europa, noi vediamo che l’antichità cerca in Asia le più ricche sorgenti d’oro, mentre il medio evo e i tre secoli posteriori, le collocano nel nuovo continente. Ma oggidì e dopo il principio del secolo xix, è di nuovo in Asia, quantunque in zone diverse, che spuntano le più ricche sorgenti d’oro. Questo cangiamento nella direzione della corrente, questo compenso che le accidentali scoperte offrono nel nord, quando al sud la produzione dell’oro sembra esaurirsi, ci chiamano ad esaminare seriamente i dati numerici; giacché in economia politica, come nello studio dei fenomeni della natura, i numeri costituiscono sempre l’elemento più decisivo; sono gli ultimi giudici, i giudici inflessibili, dei problemi diversamente risoluti dalla scienza economica. Noi impariamo dalle profonde ricerche di Bœckh come, quando le guerre persiche, e la spedizione d’Alessandro Magno nell’India, distrussero le barriere che chiudevano l’Oriente, l’oro poco a poco si sia accumulato presso gli Elleni europei; come, all’epoca di Demostene, per esempio, i metalli preziosi valevano quasi il quintuplo di ciò che valessero ai tempi di Solone. La corrente dirigevasi allora d’Oriente in Occidente, e l’affluenza dell’oro fu tale, che, mentre ai tempi di Erodoto il rapporto tra l’oro e l’argento era come uno a tredici, alla morte di Alessandro e cent’anni appresso fu come uno a dieci . Econ. pol. degli Ateniesi, vol. 1, pag. 6-31. Veggasi la dotta rettificazione delle ipotesi monetarie di Garnier fatta da Letronne, Considerazioni generali sopra la valutazione delle monete greche e romane, 1847, pag. 112. Quanto meno le relazioni commerciali eran diffuse nell’antico mondo, tanto più le variazioni che il valore dell’oro e dell’argento subiva dovevano essere grandi e subitanee. Così, a Roma, noi troviamo che, per effetto d’una locale accumulazione dell’uno fra i due metalli preziosi, poco tempo dopo la conquista di Siracusa, il rapporto tra l’oro e l’argento fu come 1 : 17 7/7; mentrechè sotto Giulio Cesare, divenne per alcun tempo sino come 1 : 8 13/14. Quanto più la quantita d’un metallo esistente in un paese è debole, tanto più è agevole il generarvi enormi oscillazioni, per mezzo d una importazione dall’estero. Il mondo attuale, per l’universalità e la prontezza delle sue relazioni, che rendono ognidove uniforme il livello, per le grandi masse d’oro e d’argento già esistenti, tende a conferire la stabilità nel valore relativo dei due metalli. Dopo le guerre dell’indipendenza, la produzione metallica nell’America spagnuola rimase per alcuni anni al terzo di ciò che era, in termine medio, per lo innanzi; e nondimeno non è a questa causa che si possano attribuire le deboli oscillazioni che si osservano in un luogo o in un altro. È da dire altrimenti del rapporto tra l’argento ed un altro metallo che non s’è ancora estratto se non in piccole quantità, e che inoltre è ripartito in modo disugualissimo, voglio dire il platino. Noi non troviamo presso gli antichi alcun dato statistico, che ci indichi qualche generale risultato, paragonabile a ciò che noi sappiamo della produzione metallica attuale. La pubblica amministrazione non offriva punto i mezzi di verificazione, che nei secoli posteriori acquistarono i paesi dell’Europa meridionale ed occidentale, per effetto del complicato e raffinato sistema doganale, introdotto dagli Arabi, popolo mercantile, che calcolava ogni cosa, che tutto registrava sotto forma di tavole sinottiche. L’asserzione di Plinio (XII, 18), secondo la quale il commercio coll’India, colla Serica e coll’Yemen, traeva ogni anno dall’Impero Romano cento milioni di sesterzii in metalli preziosi, cioè, secondo Letronne, calcolandole giusta il valore dell’argento a quell’epoca, un peso di trentatremila marchi d’argento (una metà soltanto di ciò che annualmente producono le miniere argentifere della Sassonia); questa asserzione, io dico, è isolata, e, problematica. Quando i risultati generali ci mancano, importerebbe avere esempi numerici della parziale ricchezza monetaria di certi paesi forniti di miniere, che noi potremmo paragonare colla produzione odierna dei paesi più celebri per le loro miniere, in un senso assoluto, peso per peso, senza considerare l’oro come misura del valore d’una data quantità di cereali. I tesori che lascia un sovrano come frutto d’una conquista o di lunghe vessazioni, non rivelano se non ciò che siasi accumulato in vasti paesi dopo una serie di secoli, il cui numero per altro ci è ignoto. I risultati di questo genere si possono paragonare ai dati che i nostri statistici avventurano, sulla massa dei metalli preziosi che si trovino in qualche paese ad un’epoca data. Quando Ciro, secondo il racconto di Plinio (XXXIII, 15), riunì, per effetto della conquista dell’Asia, trentaquattromila libbre d’oro, senza contare quello che aveva convertito in vasellame, questa quantità si riduceva appena ad uguagliare la produzione di due soli anni nelle miniere dell’Ural. Da un altro lato, Appiano, appoggiandosi sopra taluni documenti, valuta il tesoro di Tolomeo Filadelfo a 740,000 talenti, cioè 1017 milioni di talleri, se si tratta di talenti egizii, o 254 milioni se si tratta di piccoli talenti di Tolomeo. « Quest’asserzione sembra favolosa, dice il celebre autore dell’Economia politica degli Ateniesi; ma io non oso mettere in dubbio la veracità dello storico. In quel tesoro trovavasi una grande quantità d’oro e d’argento lavorati. Gli Stati di quel principe erano allatto esausti; le imposizioni, i tributi, v’erano a mano armata strappati dagli avidi appaltatori. I redditi soli della Celesiria, della Fenicia, della Giudea e della Samaria, furono da Tolomeo Evergete appaltati per una somma di ottomila talenti, ed un giudeo li comprò per il doppio ». M. Jacob, in un’eccellente opera pubblicata per incarico del ministro Huskisson, sotto il titolo di Historical inquiry on precious metals , corrobora le asserzioni del gran filosofo alemanno. La più alta delle due valutazioni si avvicinerebbe alla quantità d’argento monetato, che oggidì circola in Francia e nel Belgio; la seconda equivarrebbe presso a poco all’argento monetato che circola in Inghilterra . Tom. I, pag. 23. Secondo le ricerche di M. Chevalier (Lettere sull’America del Nord, tom. I, pag. 394), la moneta circolante in Francia si calcola a 3 mila milioni, in Inghilterra a 1000 milioni, di franchi. Necker portava già la circolazione della Francia a 2,200 milioni di franchi. Adamo Smith, quella della Gran Bretagna a 30 milioni di lire sterline soltanto. Negli Stati prussiani, non vi sarebbe in circolazione, secondo Hoffmann, che da 90 a 120 milioni di talleri. L’argento battuto in Prussia, dal 1764 al 1836, in ogni specie di moneta, compresevi le monete d’un quindicesimo di tallero, si eleva, togliendone ciò che si è ritirato in questo corso di tempo dall’amministrazione medesima delle monete, a 182,856,020 talleri (die Lehre vom Gelde, 1838, pag. 171). Il confronto di somme sì grandi può spargere qualche luce sui dati che ci pervennero dall’antichità. Secondo Strabone (XV, 731), Alessandro sarebbe arrivato a riunire in Ecbatana trecentottantamila talenti . Non bisogna dimenticare che, mentre og- Il tesoro lasciato da Ciro era quasi altrettanto considerevole. Plinio (XXX, 3) lo calcola a 800,000 talenti d’oro e d’argento. Che questo tesoro siasi considerevolmente diminuito dopo la morte di Ciro, è un fatto da cui Sainte-Croix (Esame critico degli storici d’Alessandria, pag. 429) conchiude che tutti i metalli preziosi raccolti dal Macedone iu Persia non arrivavano che a 330 mila talenti. Sulla concentrazione, che quasi non ha esempio, dei metalli preziosi in Italia sotto i Cesari, vedasi Letronne, Valutazione delle monete greche e romane, pag. 121. gidì i metalli preziosi sono più equabilmente ripartiti in grandi estensioni di paesi e fra numerose popolazioni, allora erano concentrati sopra pochi punti della terra, e nei tesori dei sovrani. È sicuro che la gran quantità di oro, la quale affluiva verso l’Occidente, veniva dall’interno dell’Asia, dal nord-nord est di Ladakh, dalla parie superiore del bacino dell’Oxus (fra l’IIindou Khou e le alture di Pamez, sul versante occidentale del Bolor), dalla Battriana, e dalle Satrapie orientali dell’Impero Perso; ma egli è più facile determinare la direzione della corrente aurifera, che la particolare situazione delle varie sorgenti, e la loro relativa ricchezza. Il luogo in cui nacque il mito delle formiche che cercano oro, sparso nelle montagne di Derden, doveva essere lungi dai Griffoni degli Arimaspi. Questo mito sembra appartenere alla pianura del Kascgar e di Askou, tra le catene parallele delle montagne Celesti e del Kouenloun, dove la riviera Tarim si getta nel Lop. Noi ritorneremo sugli Arimaspi abitatori di un paese più settentrionale, quando parleremo delle grandi masse d’oro, che si trovano a fior di terra nell’Ural. La fama della ricchezza dell’India echeggiava sino nella Persia, ove, in verità, era male interpretata. Ctesia , della razza degli Asclepiadi, medico particolare del re Artaserse Mnemone, descrive, quasi senza averne egli medesimo la coscienza, sotto l’imagine d’una sorgente d’oro, un fornello da cui il metallo divenuto fluido scorreva in vasi (forme di argilla). Più vicino ai Greci si trovava la Lidia, presso riviere che escono dal Tmolus, la Frigia e la Colchide, paesi ricchi d’oro. La natura degli strati di sabbia aurifera, così facili ad esaurirsi, fa comprendere al pratico minerario come sia avvenuto che alcuni di questi paesi, quando furono visitati di nuovo, si mostrarono sprovveduti d’oro ai viaggiatori che ne andavano in cerca. Se oggi si visitassero le vallate delle isole di Cuba e San Domingo, o anche la costa di Veragua, quanto, senza le storiche testimonianze che ne abbiamo, non sarebbe facile il credere che una miserabile produzione metallica quelle contrade abbian potuto dare nel secolo xv! Lo scavo sotterraneo, propriamente detto, esercitandosi sopra filoni auriferi, dura più a lungo, quando nessuna circostanza esterna viene a turbarlo. Precisamente perchè non si conosce sin da principio l’estensione dello strato, e la miniera non si scuopre se non a misura che si procede, un più durevole alimento si offre all’umana attività. All’incontro, i banchi di alluvione vengono prontamente esauriti delle ricchezze che contengono. Fra i quaranta siti in cui l’oro ottenevasi per via di lavatura, così diligentemente descritti da Strabone, quanti pochi non sono quelli che ancora si possano riconoscere ai nostri tempi! Quest’osservazione, fondata sopra positive analogie e sopra i dettami della scienza delle miniere, doveva qui trovar luogo, con tanto più di ragione, quanto che un vano scetticismo si dà il capriccio di voler mettere in dubbio le tradizioni dell’antichità. Burnes, Travels into Bolkara, tom. II, pag. 265. Oper. reliqu., ed. Bähr, in d. cap. IV, pag. 248 o 271. La parte dell’Europa, conosciuta dagli Elleni, era, sotto il rapporto della ric- chezza metallica, tanto indietro, comparativamente all’Asia, quanto più tardi l’Europa intiera lo fu comparativamente al Nuovo-Mondo. Quest’ultimo rapporto , cioè la potenza di produzione relativa, tra l’Europa e l’America, nel principio del secolo xix, quando le miniere delle colonie spagnuole erano scavate colla più grande atiività a cui siasi mai pervenuto, era, per l’oro, come uno a tredici; per l’argento, come uno a quindici. Io presumo anche che, nel periodo di Alessandro e dei Tolomei, il rapporto si sarebbe trovato, soprattutto relativamente alla produzione dell’oro, ancora più sfavorevole per l’Europa, se potessimo avere dei dati statistici su tal punto. La Grecia stessa, è vero, allato alle produttivissime miniere d’argento del Laurium, possedeva una considerevole sorgente d’oro nelle miniere della Tessaglia, nei monti Pangei, vicino la frontiera della Macedonia e della Tracia, ed in quelli fra i primi stabilimenti dei Fenicii , che erano situati in faccia all’isola di Tasos. L’iberia non fu neanche un paese argentifero pei soli Fenicii e Cartaginesi. Tartessus ed Ophir (quest’ultimo paese era, o l’Arabia , o la costa orientale dell’Africa, o anche, come vuole Heeren, un vocabolo generico per indicare in modo indeterminato i paesi ricchi del sud) Tartessus ed Ophir erano il doppio scopo della flotta riunita di Salomone ed Hiram. Quantunque, in mezzo a tutta la ricchezza metallica della Spagna, l’argento della Betica e del distretto di Cartagena, città fondata da Amilcare Barca, sia per lungo tempo rimasto l’oggetto principale del commercio esterno, pure vi erano molte annate, in cui la Galizia, la Lusitania, e soprattutto l’Asturia, fornivano ventimila libbre d’oro , cioè quasi quanto il Brasile nell’epoca più florida della sua produzione metallica. Niente dunque di meraviglia, se la penisola iberica, visitata di buon’ora, acquistò presso i Fenicii e i Cartaginesi la riputazione di un Eldorado occidentale. Egli è fuor di dubbio che in molti luoghi i quali oggidì non mostrano le più deboli traccie metalliche, il suolo primitivo era una volta coperto da strati di sabbia aurifera, o cosparso di piccole pagliette d’oro, racchiuse in un minerale solido e massiccio. L’importanza locale di queste miniere nel sud d’Europa, è incontestabile; ma comparativamente all’Asia, la loro produzione metallica era debole. Quest’ultima parte del mondo rimase per lungo tempo la principale sorgente dei metalli preziosi; e la direzione della corrente che portava l’oro in Europa, non poteva essere che dall’est all’ovest. Le basi di questa valutazione sono nell’XI cap. del mio Saggio politico sul regno della Nuova Spagna, tom. III, pag. 400. La produzione relativa dell’oro era allora chilogr. 1300, e chilogr. 17,300. La produzione relativa in argento era chilogr. 52,700, e chilogr. 795,600. Muller, Storia delle tribù elleniche, tom. I, pag. 115. Miniera d’oro presso Skapte Hyle (Bœckh, Corp. inscript., tom. I, pag. 219). Veggasi, sopra un argomento così spesso trattato, uno scritto notabile per critica filologica, del dottor Keil a Dorpat: della navigazione verso Ophir e Tarsis, 1834, pag. 61, 70. Bœckh, Economia politica, tom. I, pag. 15. Il porto di Cartagine contiene sabbia d’oro rigettata dal Mediterraneo, tra il fiume Miliana ed il Capo Sidi-Bou-Saïd. Gli abitanti, che son poveri, mettono anche oggidì a profitto questa sabbia aurifera. Dureau de la Malle, Ricerche sulla topografia di Cartagine, 1835, pag. 251. Letronne, pag. 105 e 123. Ma l’Asia stessa, cioè il rumore sparsosi nel medio evo dai viaggiatori intorno all’esistenza d’immensi tesori nel Zipango (Giappone) e nell’Arcipelago meridionale, produsse un subitaneo cangiamento nella direzione di questa corrente metallica. Fu scoperta l’America, non, come a torto si è detto per lungo tempo, perchè Colombo aveva presentito l’esistenza d’un altro continente, ma perchè egli cercava, dalla via d’occidente, un cammino più breve verso il Zipango, così ricco in oro, e verso il paese delle droghe al sud-est dell’Asia. Il più grande errore geografico (cioè l’idea della vicinanza tra la Spagna e l’India) condusse alla più grande delle scoperte geografiche. Cristoforo Colombo ed Americo Vespucci, morirono entrambi con il fermo convincimento d’aver toccato l’Asia orientale (l’India delle sponde del Gange, la penisola in cui si trova Cattigara); ed è perciò che non poteva sorgere fra loro alcuna contestazione sulla gloria della scoperta d’un nuovo continente. A Cuba, Colombo volea consegnare al gran khan dei Mongoli le lettere del suo sovrano. Egli credevasi nel Mangi, la parte meridionale del Catay (Cina): egli cercava Quinzay, la città celeste descritta da Marco Polo, oggi Hang-cen-fou. « L’isola Espagnola (Haïti), scrive Colombo al papa Alessandro VI , è Tarsis, Ophir, e il Zipango. Nel mio secondo viaggio ho scoperto 1400 isole, ed un terreno di trecentotrentatre miglia, dipendente dal continente asiatico (de la tierra firme de Asia) ». Questo Zipango indo-occidentale conteneva ciottoli d’oro (pepitas de oro) pesanti otto, dieci, e sino a venti libbre. Lettera del mese di febbraio del 1502, tratta dagli archivii del duca di Varaguas. Il terzo viaggio, nel quale il continente meridionale dell’America fu scoverto, il primo agosto 1498, tredici mesi dopo la scoverta del continente meridionale, fatta da Sebastiano Cabal, ed il quarto viaggio, che diede i primi ragguagli sopra una costa occidentale del nuovo paese, non fecero che confermare il vecchio ammiraglio nell’opioione da lui preconcepita. Non è per confusione d’idee, che, nella sua lettera al Papa, e conformemente all’inclinazione che aveva di mostrare una certa erudizione biblica, egli rappresenta i nomi di Tarsis, Ophir, e Zipango, come sinonimi di Santo-Domingo. Ma ciò viene da idee sistematiche, come si vede da altre scritture di Colombo. Egli considerava, non precisamente l’India, ma il Giappone (Zipango) per l’Ophir di Salomone, ch’egli chiama qualche volta ancora Sopora (secondo le formole impiegate da Giuseppe di Sopheira e Saphera). Egli riguardava Tarsis (Tarschich) non come il Tartessus iberico, ma seguendo i Settanta e molti teologi del medio evo, come un nome comune. La navigazione di Salomone non era, agli occhi suoi, una doppia navigazione partita dal Mar Rosso e dal Mediterraneo. Non aveva altro punto di partenza che l’Aziongaber. Colombo conosceva il Quinzay per una lettera di Toscanelli, e non per Marco Polo, ch’egli mai non nomina, quantunque si sia finora sostenuto il contrario. L’America, recentemente scoperta, allora divenne la sorgente primaria dei metalli preziosi. La nuova corrente si diresse dall’ovest all’est; e di più, traversò l’Europa, perchè in seguito allo svolgimento del traffico, dopo che i naviganti avevano girato l’Africa, bisognò dare all’Asia meridionale ed orientale un più considerevole equivalente, in cambio delle droghe, delle sete e delle materie coloranti. L’America, prima della scoperta delle miniere argentifere di Tasco (sul versante occidentale delle Cordigliere messicane, 1522), non forniva che oro; e la regina Isabella di Castiglia, sin dal 1497, si vide costretta a modificare di molto il rapporto legale fra i due metalli. L’editto monetario di Medina , la cui data è sì antica, ed al quale finora affiggevasi poca importanza, non può spiegarsi se non con questo fatto dell’accumulazione dell’oro sopra pochi punti d’Europa. Io ho cercato altrove di mostrare che, dal 1492 sino al 1500, tutta la quantità d’oro trattasi dalle parti del Nuovo Mondo allora scovertesi, ascendeva appena, per termine medio, a 2000 marchi. Il papa Alessandro VI, il quale immaginavasi di aver dato una metà della terra agli Spagnuoli, ricevette in cambio, come dono di Ferdinando il cattolico, piccoli sassuoli d’oro provenienti da Haïti, « come primizie del paese recentemente scoverto », a fin di indorare il magnifico soffitto della basilica di Santa Maria Maggiore. Un’iscrizione ricorda il metallo, quod primo catholici reges ex India receperant. Era tanta allora l’attività del governo spagnuolo, che già nel 1495, come lo ha mostrato lo storico Muñoz, un minerario, Pablo Belvis, fu spedito ad Haïti con uua provvista di mercurio onde accelerare la lavatura dell’oro per via dell’amalgamazione. Ciò che più sorprende è il leggere in una parte recentemente scoperta e pubblicata della geografia dello sceriffo Edrisi , « che i Negri dell’interno dell’Africa occidentale, come gli abitanti della bassa e fertile terra chiamata Wadi ed Alaki (tra l’Abissinia, Badja e la Nubia), estraevano la sabbia d’oro coll’aiuto del mercurio ». Il geografo nubio parla, nel mezzo del secolo xii, di questo modo d’estrazione, come di cosa da lungo tempo già nota. Questa cognizione sarebbesi forse comunicata dall’Oriente, passando per l’Egitto, al paese nero (Chemi), dedicato all’arte della decomposizione, all’Africa? L’antichità greca e romana ricorda bene un uso frequentissimo del mercurio, per levare l’oro attaccato ai fili dei vecchi galloni, ma non parla mai d’un uso tecnico ed in grande, nelle particolareggiate descrizioni che ci ha lasciate sì spesso intorno alla lavatura dell’oro. Memorias de la real Acad. de la historia, tom. VI, pag. 525. L’editto di Medina cambiò l’antico rapporto legale di 1 a 10 7/10. Veggasi la traduzione francese di Amedeo Jaubert (Parigi 1836), tom. I, pag. 42, 67. Le due pagine mancano nel manoscritto che servì di base alla traduzione latina di Sionita. Egli è piuttosto la scoperta delle nuove e copiose sorgenti, che la disparizione delle antiche, ciò che ha potuto modificare il rapporto tra il valore dell’oro e quello dell’argento, in un’epoca data. A questo motivo, e posteriormente alla scoperta delle grandi Antille, bisogna attribuire il nuovo innalzamento di prezzo che l’oro sortì verso la metà del secolo xvi, quando le ricche miniere argentifere del Potosi e del Zacatecas, furono aperte nel Perù e nel nord del Messico. Da ricerche che io ho fatte con gran diligenza, risulta che l’importazione dell’oro americano stette, quanto al peso, a quella dell’argento, nel rapporto di uno a sessantacinque fino ai primi anni del secolo xviii, quando cominciò la lavatura dell’oro al Brasile. Nel momento attuale, se si abbraccia con un colpo d’occhio l’insieme del commercio metallico d’Europa, questo rapporto non va al dissopra di uno a quarantasette; tale è per lo meno il risultato che viene dal paragone, Vedasi un saggio politico, tom. III, pag. 400, 436, 448, 463. Jacob, met. prez., tom. II, pag. 187. Il risultato ch’io trovai è stato dilucidato con una profonda penetrazione da Say (Trattato d’econ. pol., tom. II, 3, 4, cap. X), per mezzo di analogie ricavate dal commercio delle mercanzie. fra le quantità dei due metalli che simultaneamente si trovano in Europa sotto forma di pezzi coniati. I dati che l’opera di Adamo Smith, tanto eccellente sotto aitri riguardi, fornisce, sono di una grande inesattezza; anzi, quanto al rapporto di cui parliamo, sono falsi per più di metà. Nel commercio, il valore relativo dell’oro e dell’argento in Europa, fra i popoli inciviliti, e che si trovano in immediata relazione tra loro, oscillò tra 1 : 10 [Formel] ed 1 : 12, nei primi cento anni scorsi dopo la scoperta dell’America, e tra 1 : 14 e 1 : 16, negli ultimi due secoli. Quest’oscillazione è ben lontana dal dipendere unicamente dalle relative quantità dei due metalli, che si estraggono ogni anno dal seno della terra. 11 rapporto tra il valore dei due metalli si trova ben presto modificato dalle spese di produzione, dalla richiesta o dai bisogni dei consumatori, dal maggiore o minore logoramento, dall’uso dei metalli per farne vasellami o altre mercanzie metalliche. L’azione simultanea di tanti elementi, unita alla facilità con cui i metalli si muovono nel commercio, così generale e rapido, del mondo, nonchè all’immensa quantità di metalli accumulatasi in Europa, impedisce oggidì che una parziale oscillazione, nel valore relativo dell’oro e dell’argento, possa riuscire grandissima o durare per lungo tempo. Di ciò si è potuto avere una prova ad ogni subita interruzione nella produzione, come, per esempio, all’epoca dei rivolgimenti politici nell’America spagnuola, ovvero nel caso di un eccessivo impiego dell’uno fra i metalli preziosi, per i bisogni di una zecca in grande attività. Nei dieci anni trascorsi dal 1817 al 1827, in Inghilterra più di 1,294,000 marchi d’oro si convertirono in moneta; e questa compra d’oro non fece nondimeno montare il rapporto tra l’oro e l’argento, a Londra , che da 1 : 14, 97, ad l : 15, 60. Il valor di cambio dell’oro, riguardo all’argenlo, d’allora in poi è poco disceso. Alla fine del 1837, compravasi ancora, in Londra, una libbra d’oro per 16, 65 libbre di argento. Noi daremo tra poco gli elementi numerici per la soluzione di un problema, col quale si volessero determinare le modificazioni che bisogna attendersi dall’azione graduale e simultanea delle miniere recentemente apertesi nell’Ural, e di quelle dell’America settentrionale. Vedete la nuova ed eccellente opera di Hoffman, intitolata: Lehre vom Gelde (scienza monetaria), 1838, pag. 7. La massa dei metalli preziosi, arrivata in Europa, dalla scoperta dell’America sino al principio della rivoluzione Messicana, ascende: per l’oro a 10,400,000 marchi di Castiglia, (chilogrammi 2,381,600); per l’argento, a 533,700,000 marchi, o chilogrammi 122,217,300; ed insieme, a un valore di 5940 milioni di piastre. L’argento tratto, in questo intervallo, dal suolo americano, è, secondo questa valutazione, calcolato al valore intrinseco della piastra, cioè a 0,903; cosicchè questi 122,217,300 chilogrammi d’argento piastra, non fanno che 110,362,222 chilogrammi d’argento fino. Essi formerebbero una sfera d’argento fino che avrebbe 83 7/10 piedi di Parigi . Una tale riduzione quanto Questa sfera rappresenta la massa d’argento fino, venuta d’America in Europa nello spazio di 318 anni, dal 1492 al 1809. Il marco di Castiglia è chil. 0, 229. Il peso specifico dell’argento = 10,474. Delle due valutazioni sferiche analoghe, che contiene la IIa ediz. del mio Saggio politico sul regno della Nuova Spagna (tom. III, pag. 418 e 459), ma che non esprimono se non la massa d’argento all’epoca corsa fra il 1492 ed il 1830, in argento del titolo fino della piastra, ed in argento puro, la prima è esatta; nella seconda bisogna leggere metri 26, 37 cent., invece di 20, 47 cent, di diametro. alla forma ed alla grandezza, si può ammettere come tante altre valutazioni figurative. Quando si paragona il risultato della produzione di argento nell’America spagnuola, nel corso di 318 anni, col risultato della produzione di ferro in alcuni Stati europei presi isolatamente nel corso d’un anno, si ottengono, giusta la valutazione del mio amico M. Dechen, distinto geognosta, sfere di ferro puro (battuto), per la Gran Bretagna, d’un diametro di 148 piedi di Parigi; per la Francia, di 111; per la monarchia prussiana, di 76: tanto è grande la differenza delle quantità dei due metalli, l’argento ed il ferro, che si trovano in quella parte della crosta del globo; ove l’uomo può penetrare . Finchè la corrente dell’oro e dell’argento andò dall’est all’ovest, non fece che passare traverso la Spagna. Quella nazione non ritenne che una piccola quantità, e meno ancora fu quella che rimase nel tesoro dei suoi re. Ferdinando il Cattolico (secondo ciò che, pochi giorni dopo la morte del gran monarca, fu scritto dal suo ammiratore ed amico Anghiera) morì tanto povero, che non si sapeva come fare a procurare il danaro necessario per vestire convenientemente i domestici che dovevano accompagnare il convoglio. Ecco questo notabile passo della sua lettera al vescovo di Tuy: « Madrigalegium villulam regis tibi alias descripsi. Tot regnorum dominus, totque palmarum cumulis ornatus, christianæ religionis amplificator et prostrator hostium rex in rusticana obiit casa, et pauper contra hominum opinionem obiit. Vix ad funeris pompam et paucis farniliaribus præbendas vestes pullatas, pecuniæ apud eum, neque alibi congestæ, repertæ sunt, quod nemo unquam de vivente judicavit ». Ranke, nella sua dissertazione sulle finanze spagnuole, ha parlato degli imbarazzi pecuniarii di Carlo V . L’ingegnoso storico ha compiuto e confirmato con nuovi documenti le prove officiali , da me date sulla debole quantità di metalli preziosi, che le miniere americane e i pretesi tesori degli Incas han fornito. La valutazione per la Gran Bretagna si applica alla cifra media della produzione di ferro grezzo negli anni 1828-30. (Mac Culloch, Dizionario del commercio, 1834, pagina 736). La somma media è di 617,352 tonnellate, o 12,149,487 quintali di Prussia. Il diametro d’una sfera di ferro grezzo per la produzione di un anno sarebbe in conseguenza di 175 piedi prussiani, o 669 piedi di Parigi. Il ferro grezzo, fornisce convertendosi in verghe, 5/7 del suo peso. Per la Francia si è ammesso come produzione nell’anno 1835 ( Riassunto de’ lavori statistici, pag. 61 ), 2,690,636 quintali metrici di ferro grezzo; = 5,227,905 quintali di Prussia. Negli Stati prussiani, secondo statistiche ufficiali, la produzione di ferro grezzo nell’anno 1836 fu di quintali 1,651,598. Petri Mart. Epist. lib. XXIX, n° 556 (XXIII Jan. 1516). Nov’anni appresso i lavatoi erano già esauriti ad Hispaniola. Lo zucchero ed il cuoio sono i soli generi menzionati come articoli d’esportazione. Tres habemus ab Hispaniola naves (scrive ancora Anghiera) succareis panibus et coriis boum onustas (Epist. n° 806, cal. Martii 1525). Questo passo è importante per la storia del commercio, giacché la prima canna da zucchero non fu piantata a San Domingo, che nel 1520, da Petro Alienza. Ranke, Fürsten und Völker von Sud.-Europa, tom. I, pag. 347-55. Saggio politico, tom. III, pag. 361-82, 421-28. Lo scavo delle miniere non fornì tre milioni di piastre all’anno sino al 1545. La parzione di Atahualpa si elevò, secondo Gomara, a 52 mila marchi d’argento, ed il bottino (il saccheggio dei tempii a Cuzco) secondo Herrera, ad un valore di 25,700 marchi d’argento. Una più esatta cognizione intorno alla storia della produzione metallurgica, o della graduale scoverta di grandi strati metallici nel Nuovo Mondo, ci spiega perchè il ribasso nel valore dei metalli preziosi, o (ciò che è lo stesso) il rialzo dei prezzi del grano e degli altri indispensabili prodotti del suolo e dell’industria umana, si fecero sentire più vivamente verso la metà del secolo XVI soltanto, e soprattutto dal 1570 al 1595. Egli è perchè allora soltanto le masse d’argento uscite dalle miniere di Tasco, di Zacatecas e di Pachura nella Nuova Spagna, di Potosi, di Perco e di Oruro, nella catena delle Ande peruviane, cominciarono a diffondersi in un modo più equabile nell’Europa, ad influire sui prezzi del grano, della lana grezza, e delle mercanzie manufatte. L’apertura e lo scavo vero delle miniere di Potosi, fatto dai conquistadores spagnuoli, data dall’anno 1545; ed il celebre sermone che il vescovo Latimer pronunziò davanti Edoardo VI , e nel quale egli esprimeva la sua collera contro il rialzo dei prezzi di tutti gli oggetti più necessarii, data dal 17 gennaio 1548. Le leggi sui cereali, emanate in Inghilterra dal 1554 al 1688, rivelano meglio ancora, se è possibile, che i prezzi dei cereali, raccolti da Fleetwood, Dupré de Saint-Maur, da Garnier e Lloyd, l’accumulazione dei metalli. Come è noto, l’esportazione del grano non fu permessa che quando il prezzo d’una data misura scendesse ad una meta determinata dalla legge. Or questa meta sotto la regina Maria, nel 1554, fu fissata a 6 scellini il quarter, sotto Elisabetta, nel 1593, a circa 20 scellini, e nel 1604, sotto Giacomo I, a più di 26 scellini. Queste cifre hanno sicuramente una grande importanza; ma la loro spiegazione esige una particolare circospezione, giacché il problema dei prezzi in fatto di cereali, e quello anche di tutti i prezzi, è un problema complicatissimo, e la legislazione di ogni epoca si risente delle mutabili opinioni teoriche, dell’influenza della nobiltà proprietaria del suolo, come dell’accumulazione ineguale d’argento e mercanzie sopra punti diversi. Inoltre, le mutazioni di temperatura (il calore medio dei mesi di primavera e d’estate) che favoriscono la coltura dei cereali, non si estendono nel medesimo tempo a tutta l’Europa agricola. I progressi medesimi della coltura, il migliore uso delle forze produttive della terra, modificano i prezzi. L’accrescimento notabile della popolazione e lo svolgimento dei rapporti mercantili che ne risultano, accrescono la ricerca dei metalli. Così, allato alla misura che si cerca e si crede trovare nei prezzi mutabili dei cereali, bisogna ancora tener conto di due quantità che si possono simultaneamente modificare. L’innalzamento dei prezzi dei cereali non esprime, anche per un paese preso isolatamente, l’accrescimento proporzionale della quantità d’oro e d’argento, come non ci dimostra lo stato generale della temperatura e (secondo l’ipotesi d’un grande astronomo) la quantità delle macchie del sole. Noi manchiamo affatto di dati sincronici, che abbraccino una gran parte dell’Europa; e talune esatte indagini han dimostrato che, per esempio, nell’Italia superiore, l’innalzamento dei prezzi del grano, del vino, e dell’olio, è stato molto più debole fra il secolo XV ed il XVI, di quello che si poteva aspettare se- Jacob, On precious metals, tom. II, pag. 77, 132 e 138. Gian Rinaldi Carli, opere, tom. VII, pag. 190. Savigny, Geschichte des Rechts, tom. III, pag. 567. I ragguagli sui prezzi delle merci nell’Europa meridionale arrivano certamente al XIV secolo, perchè nel 1321, Marino Sanuto presentò al papa Giovanni XXII la valutazione delle spese d’una crociata che doveva stornare tutto il commercio dell’Oriente. In questa valutazione di spese, come nei prezzi forniti da Balducci Pegoletti, il titolo in argento delle monete può essere determinato più esattamente, di quello che siasi fatto da coloro che si sono occupati della scienza delle mercanzie e della storia del commercio. condo ciò che sappiamo dell’Inghilterra, della Francia e della Spagna , ove i prezzi dei cereali si elevarono al quadruplo e fino al sestuplo. Non sarà qui inutile di menzionare un risultato numerico, fondato sui prezzi medii di un periodo di quattordici anni in tutta la monarchia prussiana. Questa tavola è stata calcolata colla più gran diligenza, dietro mia preghiera, dal direttore del nostro ufficio di statistica, il consigliere intimo Hofmann. Nell’anno 1838, durante il quale, a Berlino, una libbra d’oro compra libbre 15 9/l5 d’argento puro, 1611 libbre di rame, e circa 9700 libbre di ferro, la libbra d’oro, secondo le cifre medie di 18 16/29 e 18 24/37, vale egualmente libbre 20,794 di grano, libbre 27,655 di segala, libbre 31,717 di orzo, e libbre 32,626 di avena . Clemencin, nelle Memorias de la Academia real de historia, tom. VI, pag. 553. I grani (trigo) di Vanega, costavano in Ispagna, per termine medio, dal 1406 al 1502, 10 reali; dal 1793 al 1808, 62 reali, essendo la moneta ridotta al medesimo titolo di argento. Questo risultato è d’accordo colle indagini di Say sui prezzi dei cereali in Francia (Trattato d’econ. polit., tom. I, pag. 352). Ai tempi della Pucelle d’Orléans, sotto Carlo VII, l’ettolitro di grano (del peso di 75 chil.) era disceso al prezzo di 219 grani d’argento. Il prezzo medio, poco tempo prima della scoverta dell’America, era di 268 grani; salì a 333 grani nel 1514; sotto Francesco I, a 731; sotto Enrico IV, sino a 1130 grani d’argento. Lavoisier trovava che dal 1610 al 1789 i grani si erano elevati nel rapporto di 1130 a 1342. Nell’anno 1820, un ettolitro costava, in Francia, 1610 grani d’argento, contando 9,216 grani in una libbra, o 0,489 chilogrammi. (Vedasi anche Letronne, Considerazioni generali sulle monete greche, pag. 118-23). Rimontando per il medio evo, troviamo un innalzamenio nei prezzi de’ cereali. Ai tempi di Valentiniano III, nell’anno 446, l’ettolitro vale 344 grani d’argento, e alla fine della Repubblica, ai tempi di Cicerone, sino a 528 grani. Il risultato di Dureau de la Malle dà prezzi ancora più elevati. (Rendiconto dell’Istit., luglio 1838, pag. 84). Ecco le basi di questo dato importante: nell’Ufficio statistico di Berlino si registra ogni mese il prezzo corrente delle quattro principali specie di frumento in tutte le parti della Prussia, e si prendono le cifre medie per ciascuna provincia, considerata separatamente. Da tutte queste medie si tirano, alla fine dell’anno, i prezzi medii per tutto l’anno; e dalla serie di questi prezzi medii si deducono le medie di quattordici anni calcolate in modo che, fra i prezzi dei quattordici anni susseguenti, si tolgano ogni volta i due prezzi massimo e minimo, e si aggiungano i dieci restanti. Il decimo di questa somma si riguarda allora come prezzo medio dei 14 anni che si sono considerati. Da un tal lavoro, che abbraccia il periodo dal 1816 al 1837, risultano, per lo stajo di Prussia, i valori seguenti: I punti corrispondenti alle quattro specie di cereali sono, per lo staio, una libbra di Prussia (a 2 marchi di Colonia), 85, 80, 69 e 52. La libbra d’oro è valutata in moneta d’argento di Prussia per 439 talleri, 11 silbergroschen, 6 6/13 pfennig. Il paragone dei due periodi, 18 16/29, 18 24/37, mostra un ribasso nei prezzi dei cereali in Prussia, di 14 2/7 per 0/0 nel grano; di 11 1/2 nella segala, di 12 nell’orzo, e di 11 13/17 nell’avena; diminuzione che deve in gran parte essere attribuita all’aumento di produzione ed al miglior uso del suolo. Il progresso della coltivazione è applicabile ai cereali che hanno un valore più alto. (Dieterici, Uebersicht des Verkehrs, 1838, p. 474). Io considero qui questa diminuzione di prezzi come affatto indipendente dall’influenza o dallo sbocco de’ metalli preziosi. Grano 1 tallero, 23 silbergroschen 10 5/9 pfennig Segala 1 » 8 » 1 5/9 » Orzo 1 » 28 » 8 1/9 » Avena 1 » 21 » 8 1/3 » I timori che, quando fu pubblicata l’opera di Jacob (sui metalli preziosi), opera di gran valore, e che in Germania non ha trovato l’attenzione che meritava, s’erano generati, a causa della diminuita importazione di metalli preziosi provenienti dal Nuovo Mondo, non si sono avverati. La produzione metallica, caduta tanto bassa dal 1809 al 1826, si è nondimeno, malgrado i torbidi dell’America spagnuola, innalzata di nuovo ai tre quarti di ciò che era nell’epoca in cui io lasciai quel paese. Nel Messico, secondo le più recenti notizie di cui son debitore all’incaricato d’affari prussiano, M. de Gerolt, la produzione si è anche elevata a 20 e fino a 22 milioni di piastre, risultato a cui hanno contribuito principalmente, oltre Zacatecas, le miniere recentemente aperte di Fresnillo, Chihuahua e Sonora. Nell’ultima epoca pacifica della dominazione spagnuola, io non poteva valutare il rapporto medio delle miniere messicane, più che a 23 milioni di piastre (circa 537 mila chilogr. d’argento, e 1600 chilogr. d’oro). La verificazione era allora più facile, perchè non eravi che una sola zecca centrale, e le leggi severe restringevano il commercio metallico a un piccolo numero di porti. In alcun altro luogo del mondo l’attività non era allora più grande, che in quella zecca centrale del Messico; la quale ha emesso in oro ed argento del paese, dal 1690 al 1803, non meno che 1353 milioni di piastre, e dopo la scoverta della Nuova Spagna sino alla emancipazione del paese, circa 2028 milioni di piastre; cioè i due quinti di tutti i metalli preziosi che l’America intiera ha versato nell’antico continente in questo corso di tempo. È appena quest’anno che M. Ternaux-Compans, nella sua collezione interessantissima delle Memorie originali per servire alla storia della scoverta d’America (Conquista del Messico, pag. 451), ha pubblicato una lista ufficiale delle somme inviate, dal 1522 al 1587, dai vicerè della Nuova Spagna alla madre patria. Io non ho trovalo questa lista negli archivii del Messico. Essa è notabilissima, e mostra che i miei ditti anteriori sulla produzione metallica del Messico, dal 1521-1600 (Saggio politico, tom. III, pag. 414), erano piuttosto alquanto troppo elevati. Un’opinione contraria, poco tempo fa, è stata espressa frequentemente. Dopo l’amministrazione di Fernando Cortes sino all’anno 1552, quando le miniere di Zacatecas si aprirono, l’esportazione si elevò di raro in un anno a 100 mila pesos. A partire da quell’epoca, si trova in un movimento di rapido ribasso. Negli anni 1569, 1578 e 1587, essa fu già di 931,564, di 1,111,202, e di 1,812,051 pesos de oro. Le somme son calcolate, non secondo le nostre piastre, ma secondo quei pesos de oro. Vedasi l’opera istruttiva di Giuseppe Burkart: Aufenthalt u. Reisen in Mexico in den Jahren 1824, bis 1834, prima parte, pag. 360 e 385; seconda parte, pag. 74, 152. Ciò che, per effetto dello scoraggiamento venuto da saggi infruttuosi, si allega sulla pretesa esaurizione delle ricchezze minerali del Messico, è in aperto contrasto con la condizione geognostica del paese, ed anche colle più recenti esperienze. Lo stabilimento monetario di Zacatecas ha egli solo battuto,ai tempi d’agitazione corsi dal 1811 al 1838, più di 66,332,000 piastre, con 7 milioni 758 mila marchi d’argento, e negli ultimi undici anni (dal 1822 al 1837), ha emesso senza interruzione da 4 a 5 milioni di piastre: 1829 . . . . . 4,505,108 piastre 1830 . . . . . 5,189,902 » 1831 . . . . . 4,469,450 » 1832 . . . . . 5,012,000 » 1833 . . . . . 5,720,000 » A Zacatecas, una sola vena, la Veta Grande, su cui si lavora sin dal secolo XVI, e che sino al 1738 diede sovente in un anno fino a tre milioni di piastre, ha messo in circolazione le seguenti masse metalliche: Guanaxuato che, è ben vero, forniva già precedentemente, e al tempo mio sino a 755 mila marchi d’argento ogni anno, ora è disceso sino a più che la metà di questa cifra. Ecco il suo reddito: Quando finalmente queste magnifiche contrade, sotto tanti riguardi favorite dalla natura, godranno la pace, dopo una lunga fermentazione ed una profonda agitazione interna, nuovi strati metallici saranno necessariamente scoverti per effetto del progresso nella coltivazione del suolo. In qual parte della terra, fuori l’America, si posson trovare esempii d’una simile ricchezza in argento? Non si dimentichi che, vicino Sombrerete, dove alcune miniere furono aperte già nel 1555, la famiglia Fagoaga (Marqués del Apartado) ha, nello spazio di cinque mesi e in una estensione di 16 tese (96 piedi), ricavato dai primi saggi d’una miniera d’argento un profitto netto di 4 milioni di piastre; e che nel distretto di Catorce, in due anni e mezzo (1781-1783), in un terreno pieno di miniere d’argento corneo (cloruro d’argento) e di colorados, che il popolo chiamava la borsa di Dio Padre (la bolsa de Dios padre), un ecclesiastico, Juan Flores, fece ugualmente un guadagno di tre milioni e mezzo di piastre. 1828 . . . . . 117,268 marchi d’argento. 1829 . . . . . 235,741 » 1830 . . . . . 279,288 » 1831 . . . . . 272,095 » 1832 . . . . . 258,498 » 1833 . . . . . 209,192 » Marchi d’oro Marchi d’argento 1829 . . . . . 852 269,494 1830 . . . . . 1058 284,386 1831 . . . . . 622 258,500 1832 . . . . . 1451 300,612 1833 . . . . . 1144 316,024 Il prodotto dell’oro nell’America spagnuola e portoghese è diminuito in una proporzione molto maggiore che quello dell’argento; ma questa diminuzione data da un’epoca molto anteriore ai movimenti politici delle regioni tropicali. Io ho già in un altro luogo mostrato in quale errore si era, fino al principio del nostro secolo, intorno alla durata della ricchezza dei lavatoi brasiliani, e come si sia confuso lo stato florido di questa intrapresa (dal 1752 al 1773) con la sua condizione posteriore . Il rapporto del Bullion committee , così importante Saggio politico, tom. III, pag. 448-52. Report of the Bullion Committee of 1810, Append., pag. 17-22. per la storia del commercio, ha cominciato a spargere qualche luce su questo argomento. Io devo i ragguagli più sicuri alle comunicazioni private fattemi dall’antico direttore generale delle miniere, barone di Eschwege. L’opera di Jacob sui metalli preziosi non contiene che aggiunte di poca importanza . Dal 1752 al 1761, la produzione dell’oro nelle Minas Geraes, che pagava il quinto, oscillò tra 6400 e 8600 chilogrammi (l’arroba portoghese equivale, secondo Franzini, a chilogr. 14,656). La produzione è certamente notabilissima, e molto superiore all’attuale produzione dell’Ural e dell’Altaï; ma bisogna ricordarsi che nel 1804 l’America spagnuola diede egualmente quasi 10,400 chilog. d’oro, cioè: La produzione delle Minas Geraes era già caduta, nelle annate medie dal 1785 al 1794, a chilogr. 3300; dal 1810 al 1817, a chilogr. 1600; dal 1818 al 1820, a chilogr. 428. L’asserzione del cavaliere de Schæffer, secondo cui, nel 1822, non si produssero che 24 arrobas (350 chilogr.), nell’alto fornello di Villarica, concorda col risultato qui sopra enunciato. Da quel tempo in qua, la produzione delle miniere d’oro nel Brasile sembra essersi rialzata un poco per virtù delle compagnie inglesi; ma ciò che, ha contribuito alla decadenza delle lavature d’oro, più che l’esaurimento degli strati minerali, è la tendenza alla coltura dei prodotti coloniali, favorita dall’infame tratta dei negri tuttavia in vigore. Il commercio di contrabbando ha preso una tale estensione al Brasile, che sarebbe a desiderarsi che qualche indigeno, perfettamente informato della situazione del paese, volesse aver la cura di ben verificare il rapporto generale dell’annua produzione d’oro dal 1822. Tom. II, pag. 265 e 395. Nuova Granata . . . . . 4700 chilogr. Chilì . . . . . 2800 » Messico . . . . . 1600 » Perù . . . . . 780 » Buenos Ayres . . . . . 500 » 10,380 chilogr. Un fatto degno d’osservazione, nella storia delle miniere scavatesi dagli Europei, si è, che, da quando essa è caduta sì basso nel Brasile, si è elevata ad una inaspettata altezza nell’Asia settentrionale, e nella parte meridionale degli Stati Uniti d’America (sebbene in quest’ultima in un modo ben passeggiero). La eatena dell’Ural (Meridianviett) prolungandosi sotto il medesimo meridiano come una muraglia, dall’Oust-Ourt, nella parte settentrionale dell’istmo Truchmène, sin verso il mar ghiacciato, ed anche, secondo le belle osservazioni del botanico Alessandro Schrenk e di M. Baer, sino alle isole di Waïgatz ed alla Nuova Zembla, produce un minerale d’oro in una lunghezza di quasi 17 gradi di latitudine. Se negli anni 1821 e 22 1’Ural non forniva ancora che 27 a 28 pouds d’oro (440 a 456 chilogr.), il rapporto della sabbia d’oro dell’Ural si elevò già, nei tre anni seguenti 1823, 24, 25, successivamente a 105, 266, e 237 pouds. Secondo il prospetto dei metalli preziosi raccolti nell’impero russo, ed ottenuti puri da ogni lega alla zecca di Pietroborgo, prospetto che mi si è trasmesso manoscritto dal conte di Cancrin, ministro delle finanze russe, la produzione dell’oro era Quando, per ordine dell’imperatore Nicola, io feci, coi miei amici Gustavo Rose ed Ehrenberg, la mia spedizione nell’Asia settentrionale, la produzione dell’oro, per via di lavatura, era ristretto a quella parte della catena dell’Ural che serve di limite all’Europa. L’Altaï (in mongollo la catena di Montagne d’Oro, Altaïn-Oola ), non forniva che la piccola quantità d’oro (circa 1900 marchi) che poteva estrarsi dal minerale d’argento, contenente pure dell’oro (70 mila marchi), dalle ricche miniere di Schlangenberg o Smeïnogorsk, di Ridderski e di Syrianowski. Dopo il 1844, questo risultato è stato ampiamente compensato in quella parte media della Siberia. Si sono scoverti degli strati di sabbia d’oro (Galets), affatto simili a quelli del versante dell’Ural. La casa Popof, la cui influenza è stata così utile allo svolgimento del commercio nell’Asia interna, ha dato ancora qui un lodevole esempio. Dei 398 pouds d’oro (27,844 marchi) che tutto l’impero russo forni nel 1836 , 293 pouds e 26 libbre provenivano dall’Ural, e 104 pouds 15 libbre dall’Altaï. L’anno appresso, nel 1837, la produzione della Siberia orientale s’era già tanto innalzata, che l’Altaï diede 130 pouds d’oro lavato; l’Ural (nei lavatoi imperiali e particolari) diede 309 pouds. Se a queste somme si aggiunge 30 pouds d’oro, estratti dai minerali friabili in istrato continuo dell’Altaï e di Nertschinsk, si trova, per risultato esatto di tutta la produzione d’oro della Russia, nell’anno 1837, pouds 469, o chilogr. 7644. I lavatoi dell’Ural si trovano dunque in un periodo di decadenza lentissima; ma l’Altaï aggiunge alla massa totale una sì grande quantità, che la sua produzione, comparativamente a quella dell’Ural, sta come 4 a 9 1/2. pouds libbre nel 1828 . . . . 290 39 1829 . . . . 289 25 1830 . . . . 347 27 1831 . . . . 352 2 1832 . . . . 380 31 1833 . . . . 368 27 1834 . . . . 363 10 Altaïn è una forma geuitiva della lingua mongolla (Klaproth, Memorie relative all’Asia, tom. II, pag. 382). Inoltre (del pari nel 1836) in platino dell’Ural, 118 pouds, due libbre, ossia 8,269 marchi di Colonia. Egli è appena da poco tempo, che noi abbiamo avuto ragguagli sulla estrazione propriamente detta, dai letti di sabbia d’oro da un geognosta distintissimo, il mio antico compagno di viaggio nell’Ural meridionale, M. di Helmersen. L’oro lavato, che si raccoglie da alcuni anni in quantità sempre crescente, nella parte orientale del governo di Tomsk, non appartiene al gran tronco di montagne da noi chiamate la catena principale dell’Altai , che Ledebour, Bunge È impropriamente che si chiama il piccolo Altaï. M. Helmersen divide ancora la mia incredulità sull’esistenza del grande Altaï (Frammenti asiatici, tom. I, pag. 28). « Una di queste grandi e lunghe vallate, egli dice, che traversa la catena centrale dell’Altaï, è la vallata della Buchtarma superiore: essa separa la parte settentrionale russa, dalla parte meridionale cinese. Quest’ultima è stata frequentemente, e sino agli ultimi tempi, indicata sotto il nome di grande Altaï, in opposizione alla parte settentrionale chiamata il piccolo Altaï. Oltre l’improprietà di queste denominazioni, che non sembrano fondate in natura, e che non sono accettate dagli abitanti, esse non giovano che a perpetuare l’errore che un fabbricante di carte geografiche trasmette ad un altro. L’Altaï cinese non fa coll’Altaï russo che un solo e medesimo tutto, e non vi sono motivi per considerarli come due diverse catene di montagne, anche nella loro direzione ». e Gebler han visitato; ed in cui il monte Beloucha, colle sue vette nevose, s’innalza, vicino le sorgenti della Tatouinia, sino all’altezza di 11,000 piedi, al livello del Wetterhorn e del picco di Teneriffa. Gli strati di sabbia aurifera si mostrano sui due versanti; ma soprattutto sul versante orientale d’una piccola catena di montagne che 1’Altaï, la cui direzione è da oriente ad occidente, spinge verso il nord, nel meridiano del lago di Telesk, e che si prolunga sino al parallelo di Tomsk. « Sulle carte, dice il mio amico Helmersen, questa piccola catena che contiene oro suscettibile di lavatura, è indicata sotto i nomi di montagne di Abassanki, di Kusnezki e di Alatau. Riguardo alla sua direzione ed alla sua interna composizione , come alla sua forma, essa ha con l’Ural la più perfetta rassomiglianza, ed in fatti è una ripetizione dell’Ural, solamente in dimensioni più piccole. L’analogia è tale, che, anche lì, il versante orientale è ricco in oro, e l’occidentale lo è molto meno. Siccome è precisamente quest’ultimo che è stato riservato al lavoro della Corona, così finora gl’intraprenditori privati han messo a profitto soltanto la ricchezza dell’Alatau (quel ramo dell’Altai che si dirige verso il nord) ». I geognosti che conoscono le mie indagini sulla direzione dei sistemi di montagne nell’Asia inferiore, aiutandosi delle idee ingegnose di Elia di Beaumont sul parallelismo e sulla relativa successione nell’età delle catene di montagne e loro ramificazione, non posson mancare di riconoscere l’importanza delle osservazioni fatte da Helmersen. Io non ho visto il deposito metallico settentrionale della sabbia d’oro dell’Altai (Kusnezki), perchè il mio viaggio era diretto da Tobolsk, per Tara, ed attraverso le sleppe di Barabinski, verso l’Aitaï occidentale e meridionale, e di là verso il punto limitrofo della Cina, Chounimaïlekhou (nella provincia d’Ili, al nord del lago Saïsan). Helmersen, nel Bullettino dell’Accademia di Pietroburgo, tom. II, pag. 107. Vedete anche Ermann, Reise um die Erde, tom. II, pag. 19-21. La sabbia aurifera dell’Altaï è un poco più ricca in argento che l’oro dell’Ural. I negozianti siberi, molto favoriti dall’amministrazione imperiale delle miniere, hanno stabilito dei lavatoi d’inverno, e l’esercizio di questo nuovo ramo d’industria asiatica è tanto più notabile e soddisfacente, quantochè gli operai non sono che volontarii, e vengono ben pagati. Secondo ragguagli recentissimi, che io devo al ministro delle finanze, il conte di Cancrin, si sono scoverti ricchi strati di sabbia, e nella catena di Salairski, e presso il fiume Biriousa, che separa l’uno dall’altro i governi di Jeniseiski e di Irkoutsk . Per tutta la Siberia, si son già distribuite 240 licenze (facoltazioni di lavorare negli strati auriferi). Il villaggio di Biriussinsk, sulla strada di Kansk a Nijnei-Udinsk, è in una situazione assai pittoresca, fra ruscelli profondamente incassati. Anche dal lato d’Oriente, il suolo è molto squarciato sino alle rocche di grès del Nijnei-Udinsk (Ermann, Handschriftliche Nachrichten). Tale è l’importanza che, in questi ultimi tempi, ha acquistato la corrente dell’oro dall’est verso l’ovest (scopo principale di queste indagini essendo di rappresentare la mutazione delle correnti nel commercio dell’oro). Questi 469 pouds d’oro dell’Ural e dell’Altai (32,850 marchi di Prussia), che costituiscono la produzione dell’anno 1837, vagliono in moneta prussiana d’argento 7,211,000 talleri. Questa cifra non differisce che di un ottavo dalla produzione in oro delle Minas Geraes al Brasile, nelle più favorevoli annate dell’epoca felice che si estende dal 1752 al 1761; ma è quasi di un terzo più debole che la produzione estratta dalla Nuova Granata, dal Chilì e dal Messico, poco tempo prima che avvenisse la rivoluzione dell’America spagnuola. Allorché si considera l’immensa superficie della Siberia, e si riflette al rapido accrescimento dell’oro nell’Ural durante gli anni 1822, 1823 e 1824, si ha motivo di credere che l’affluenza dell’oro di Siberia dall’est all’ovest, dall’Asia all’Europa non è ancora arrivata al suo maximum. Il prodotto della Siberia orientale forse crescerà più rapidamente di quanto decresca quello dei lavatoi dell’ Ural, dove in primo luogo si son messi a profitto, ed in modo sventuratamente troppo rapido, i più ricchi strati di sabbia. Col metodo della estrazione idrostatica, si perde incontestabilmente una grande quantità di metallo, quella che è attaccata a dei grani d’ossido di ferro ed altre leggiere sostanze. Non è qui il luogo di ricercare se l’ingegnoso metodo proposto dal colonnello Anassow, intendente a Slatoust, il quale promette un sì bel successo, e che consisterebbe nel fondere il minerale con del ferro, e poi trattare il ferro aurifero per mezzo dell’acido solforico, sia suscettibile d’applicazione in grande, atteso le grandi masse che bisognerebbe ridurre in fusione, e la difficoltà che s’incontrerebbe a trasportare tanta sabbia contenente una sì piccola quantità d’oro, non che l’ostacolo del combustibile che occorrerebbe. I saggi perseveranti e ben diretti fattisi finora, sembrano tutti deporre contro la possibilità di esecuzione in grande. Le cognizioni acquistatesi da quindici anni appena sulla ricchezza in oro che l’Asia settentrionale offre ancora oggidì, fanno involontariamente pensare agli Issedoni, agli Arimaspi ed ai griffoni, guardiani d’immensi tesori che Aristeo di Proconese, e circa due secoli appresso Erodoto, han reso sì celebri . Io ho avuto il piacere di visitare nell’Ural meridionale certi luoghi in cui, a pochi pollici sotto l’erba, si sono scoverte, l’una accanto all’altra, masse brillanti d’oro di 13, 15, ed anche 24 libbre russe . Può ben darsi che masse anche maggiori si sieno altre volte trovate sotto la forma di ciottoli tondi ed intieramente scoverti sulla superficie del suolo. Niuna meraviglia dunque, se sin dalla più Nei Frammenti di Alcman, che M. Welcker ha spiegati, come in quelli di Ecateo e di Damaste, si fa menzione del pari degli Issedoni. (Hec. Mil. Frag., edizione Klausen, num. 168, pag. 92). Il più grosso ciottolo d’oro che siasi trovato finora nell’Ural (a Alexandrowsk, presso Miask), è lungo otto pollici, largo 5 3/8, ed alto 4 3/4. Pesa 24 libbre russe, 69 solonik (marchi 43 1/2), e si conserva a Pietroburgo nella magnifica collezione di minerali del corpo dei minatori. Fra i ciottoli di platino di Nischne-Tagilsk (proprietà di M. Demidoff), se ne sono trovati d’un peso di 13, 19, e 20 libbre. Rose, Reise nach dem Ural, tom. I, pag. 41. di tante ricchezze abbia echeggiato e sia penetrata nelle sponde dell’Eusino sino alle colonie elleniche, che di buon’ora entrarono in relazione col nord-est dell’Asia, al di qua del mar Caspio e del lago dell’Oxus (Aral). I Greci commercianti, ed anche gli Sciti, non penetrarono essi medesimi fino agli Issedoni; essi non trafficarono che con gli Argipeeni. Niebuhr, nelle sue ricerche sugli Sciti ed i Geti (ricerche che non sono affatto confermate da ciò che noi oggidì sappiamo sulla differenza delle razze e la composizione delle lingue nei popoli dell’Asia settentrionale), colloca gli Issedoni e gli Arimaspi al nord d’Orenbourg , per conseguenza in quella contrada aurifera che oggidì ci è cosi ben nota, e che si trova al versante orientale dell’Ural meridionale. Quest’opinione è difesa nell’opera sostanziosa pubblicatasi recentemente dal consigliere Eichwald sotto il titolo: Dell’antica Geografia det Mar Caspio . Heeren e Vœlcker collocano il paese di Erodoto nella regione dell’Altaï, ed io confesso che questa opinione mi sembra sempre meglio giustificata dalla configurazione dei luoghi . Erodoto descrive una via commerciale, per cui l’oro dell’Altaï settentrionale, o almeno, secondo io suppongo, la fama di quest’oro poteva arrivare al Ponto Eusino per mezzo degli Issedoni e degli Sciti . Per penetrare sino agli Argipeeni, che hanno la testa calva, il naso piatto, e le mascelle fortissime , bisogna che gli Sciti ed i Greci delle colonie politiche abbiano avuto ricorso, nel loro commercio, a sette interpreti di selle lingue diverse (Erodoto, IV, 24). Kleine historische und philologische schriften, pag. 361. (V. anche Herodotische Welt Tafel di Niebuhr). Eichwald fa derivare, come Reichard, il nome d’Issedoni dal fiume Isset, e riguarda questo popolo come una tribù di Vogulli. Heeren, Ideen über Politik u. Verkehr (1824, t. I, sez. 2, pag. 281-87). Vœlker, Mythische Geographie der Griechen u. Romer, t. 1, p. 188, e 191. Il commentario di quest’opera, di Klausen, nella Scheuzeitung 1832, p. 653 (Voelker ha raccolto colla più gran cura i passi degli antichi che io qui mi astengo di citare). Questi Argipeeni vivono di frutti dell’albero ponticum, il cui sugo si chiama Aschy, e la cui massa, dopo essere stata sottoposta all’azione dello strettoio, s’impasta e si converte in focaccie. Nemnich ed Heeren han già voluto riconoscervi il prunus padus (t. 1, sez. 2, p. 285). — Vedasi pure Ermann, Reise um die Erde, t. I, pag. 307. Dopo la scoverta di così ricchi strati di sabbie aurifere nella diramazione che l’Altai spinge verso il nord sino al parallelo di Tomsk, l’opinione, secondo cui gli Arimaspi avessero abitato una contrada situata all’oriente dell’Ural e lontanissima da questa catena di montagne, diviene più verosimile. Secondo le congetture di un dotto ed ingegnoso viaggiatore, Adolfo Ermann, il nido dei griffoni si congiunge coll’esistenza delle ossa fossili di pachidermi antediluviani, che così frequentemente s’incontrano nella Siberia settentrionale, e nei quali i popoli cacciatori credono vedere gli artigli e la testa di un uccello gigantesco. Se si consente, conchiude M. Ermann, a vedere in quest’antica tradizione il prototipo del mito greco, si ha tutta la ragione di dire che i minerarii hanno strappato l’oro ai griffoni; giacché nulla di più comune oggidì, come altra volta, che l’incontrare sabbia aurifera negli strati di terra o di torba contenenti ossami di tal natura. Ma quantunque plausibile fosse questa spiegazione, havvi nondimeno un fatto che la contrasta; ed è che nei passi d’Esiodo si la già menzione dì questi esseri favolosi, i griffoni, i quali adornano, sotto la forma di mostri metà lioni e metà aquile, le porte di Persepoli, e di buon’ora arrivarono in Grecia per via di Mileto . Un celebre accademico russo, M. de Græfe, inclina a riguardare un mostro dai denti enormi, l’odontotyrannus, di cui parlano gli scrittori bisantini, e Giulio Valerio, le cui opere sono state scoperte da Maj, come una vaga reminiscenza del Mammouth sibero, come un eco lontano del mondo primitivo . Carlo Otof. Muller, Dorier t. II, pag. 276. (Sopra il griffone di Ctesia, considerato come un animale battro-indiano, vedasi Heeren, t. I, sez. 1, p. 239, e’Bottiger Griechische Vasengemälde, t. I, n. 3, p. 105). Erodoto pure (IV, 79 e 152) parla due volte dei griffoni come immagini ed ornamenti. Græfe, nelle Memorie dell’Accademia di Pietroburgo, 1830, pag. 71 e 74. — Giulio Valerio Res gestæ Alexandri translatæ ex Æsopo, III, 33. — Vedasi inoltre la Cronica Hamartol, che Hase ha raccolta nei manoscritti della Biblioteca di Parigi. Il tiranno, di cui abbiamo or ora parlato, è il mito dei griffoni; non mi sembrano sorti dal seno ghiacciato delle terre d’alluvione; mi paiono piuttosto creazioni dell’immaginativa d’una zona meridionale e d’un clima caldo. Io ho ricordato più sopra che nell’Ural si trovano enormi masse d’oro a pochi pollici sotto la superficie del suolo. L’acqua divenuta ruscello, o altre cause insignificanti, han potuto un giorno mettere a nudo queste masse in modo che si presentarono alla superficie. Non dobbiamo vedere che un mito nella storia dell’oro sacro presso gli Sciti, di cui parla Erodoto, ed in quella degli strumenti aratorii in oro caduti dal cielo, e che i due figli di re, i quali furono i primi ad avvicinarvisi, non poterono toccare senza bruciarsi, mentrechè il terzo Calassaine potè senza danno condurre a casa il metallo raffreddato; ovvero sarebbe questa la reminiscenza lontana d’una pioggia di aeroliti allo stato d’ignizione? Il ferro e l’oro sono qui scambiati l’uno coll’altro; e l’oro sacro non fu forse una pietra meteorica, simile alla massa trovata da Pallas, colla quale si potevano foggiare strumenti da lavoro, come gli Esquimesi della baia di Baffin si fanno ancora nei nostri giorni i loro coltelli con degli aeroliti che si trovano mezzo sepolti nella neve? Io so che le spiegazioni fisiche dei miti antichi e dei miracoli moderni oggidì non godono favore, e che io rischio di deviarmi nelle vie erronee dei drammatici di Alessandria; ma è ben perdonabile ad un naturalista il far menzione d’una pioggia di bolidi. Forse il metallo caduto dal cielo non era Io do qui il passo di Erodoto secondo la traduzione latina di Schweighæuser: « Targitao filios fuisse tres Leipoxain et Arpoxain, minimumque natu Calaxain. His regnantibus, de coelo delapsa aurea instrumenta, aratrum et jugum et bipennem et phialam decidisse in Seythicam terram. Et illorum natu maximum, qui primus conspexisset, propius accedentem capere ista voluisse; sed eo accedente, aurum arsisse. Quo digresso, accessisse alterum, et ilidem arsisse aurum. Hos igitur ardens aurum repudiasse; accedente vero natu minimo fuisse extinctum, huncque illud domum suam contulisse. Qua re intellecta, fratres majores ultro universum regnum minimo natu tradidisse. Sacrium autem illud aurum custodiunt reges summa cura, et quotannis conveniunt, majoribus sacrificiis illud placantes. Dicuntque Scythae, si quis festis illis diebus aurum hoc tenens obdormiverit sub dio, hunc non transigere illunm annum ». — I Massageti, tribù degli Alani, secondo Ammiano Marcellino, impiegavano per loro addobbo e per adornare i cavalli, l’oro, come altri popoli fanno del ferro. (Erod., I, 215). bruciante che per allontanare i figli maggiori? Anche secondo la popolare credenza sparsa in Germania, il luogo in cui un tesoro è nascosto cuoce e brucia, ma simili considerazioni ci distornano dalle indagini puramente fisiche. Cogli strati di sabbia aurifera trovati nell’Asia settentrionale al di qua dell’Obi, quella cifra di 130 pouds o 9100 marchi di Prussia, a cui per un anno si è elevato il prodotto dell’oro tratto dall’Altai o da Kusnezki, forma un avvenimento nella storia del commercio dell’oro, ed un avvenimento tanto più importante, quanto che appartiene a quella parte dell’Asia che si ritrova sotto l’immediato dominio dell’Europa, e che il suo prodotto, volgendosi verso l’Occidente, esercita la sua influenza su tutto il commercio dell’oro in Europa. Per quanto sia antica in Asia la produzione del minerale consistente, noto sotto la vaga denominazione di filoni ciudichi , l’esistenza di masse considerabili d’oro lavorato, trovatesi alla prima occupazione di questo paese, nelle tombe, e di cui le collezioni di Pietroburgo possiedono esempii così notabili, si spiega meglio per mezzo della scoverta, in remotissime epoche, di ciottoli d’oro nei terreni franati, immediatamente al dissotto della superficie. Müller, questo eccellente storico della Siberia, racconta che le prime scoverte d’oro nelle tombe (Kourganoui) fecero in modo sorprendente abbassare il valore di questo metallo a Krasnojarsk . L’Asia interna, rinserrata fra la catena dell’Himalaya e la catena vulcanica chiamata Montagna Celeste, forma, come la Cina, un tutto chiuso, sotto il punto di vista politica e quasi anche sotto il punto di vista mercantile. Per quanto incerte sieno le nozioni che noi abbiamo su questa parte del globo, pure, dalla splendida epoca delle dinastie mongolle sino al XIII secolo, dopo il viaggio di Marco Polo, la fama degli strati di sabbia aurifera nell’interno dell’Asia è penetrata sino in Europa (al sud per la via delle Indie, al nord per la via di Siberia). Quelli che si chiamano filoni ciudichi, e le miniere ciudiche dell’Asia settentrionale, non appartengono alla medesima razza. Il nome di questo popolo di Cabiri, che vanno in cerca del minerale e foggiano il metallo, non indica originariamente che stranieri, non russi (barbari), ma in un modo più determinato negli annali russi, secondo Klaproth (Asia polyglotta, p. 184), secondo le più recenti e dotte indagini di Sjogren (Memorie dell’Accademia di Pietroburgo, 6. serie, t. 1, p. 308), tutte le tribù finnesi ed uraliane. Giornale Asiatico, t. II p. 12. I giornali di Calcutta riferiscono che, in tutto il Tibet occidentale, i fiumi trasportano oro, e gl’indigeni lo estraggono per mezzo dell’amalgama. Antichi miti indiani fanno del sovrano del nord, Kouwera, il dio della ricchezza; ed è ben notabile che la residenza del dio (Alakâ) si trova, non nella catena medesima dell’Himalaya, ma sul Kaïlâsa, al di qua dell’Himalaya, nel Tibet . Egli è più verso il nord-ovest al di qua della catena di montagne di Kouenloun, che separa i distretti di Ladak e di Khotan, che Heeren colloca con molta verosimiglianza, secondo me, il gran deserto di sabbia così ricco in oro, che gli Indiani limitrofi di Caspatyrus (Cachemir) visitavano, e nel quale le formiche, più piccole che i cani, ma più grandi che le volpi, si scavavano la loro dimora. Alberto Hœfer, Uebersetzung dea Urwasi, des Kalidása, 1837, p. 90. Erod., III, 102-6 (Heeren, I, parte, 2. sez., pag. 90, 102, 340-45. Compar, Ritter, Asien t. II, 657-60). Il Bolor, il cui versante orientale conduce a Khoufaloun, paese che i geografi indicano col nome di piccolo Tibet o Kashgar, ed al lago Lop in mezzo alle steppe, ha sul suo versante occidentale offerto pure al distinto viaggiatore che ha esplorato questa terra incognita, Alessandro Burnes, gli strati di sabbia aurifera di Durrvaz e del corso superiore dell’Oxus da lui descritti . Nella Cina, la produzione dell’oro per via di lavatura data egualmente dall’antichità più remota, e nella nomenclatura mineraria di questo popolo pedantesco si distinguono i campi d’oro (strati di minerale d’oro estesissimi nelle pianure), e i ciottoli d’oro sotto il nome di teste di cani, grani di frumento, e polvere di miglio. Sventuratamente nel Choca, nella Sonora, e nell’Ural, come dovunque, vi sono meno teste di cani, di quel che siavi polvere di miglio. Burnes, Travels, t. II, p. 165. Nel 1831 si trovavano ancora nell’Oxus dei ciottoli d’oro, grossi quanto un uovo di colomba. Come il Reno, l’Oxus (iGhoun) trascina la sua sabbia d’oro fino all’imboccatura; e l’infelice spedizione del principe Alessandro Bekewitsch, fatta intraprendere da Pietro il Grande nel 1716, fu suggerita dai ragguagli bugiardamente esagerati di Truchmena, sull’accumulazione della sabbia d’oro nell’antica imboccatura dell’Oxus (al sud della piccola catena dei Balkan presso la riva orientale del Mar Caspio). Landresse, sopra le alluvioni aurifere della Cina nel Giornale Asiatico; tom. II, pag. 99. Quasi alla medesima epoca in cui l’Ural offriva i suoi tesori, e cominciava a sostituire i prodotti del Brasile caduti in basso, si scoprirono nella parte meridionale degli Allegani, nella Virginia, nella Carolina settentrionale e meridionale, nella Georgia, nel Tennessee, e nell’ Alabama, degli strati di minerale d’oro che promettevano considerevoli prodotti. L’epoca della più grande prosperità, nell’America settentrionale, di questa produzione ottenuta per via di lavatura, alla quale succedette ben presto lo scavo minerario, abbraccia gli anni dal 1830 al 1835. Senza dubbio, negli otto ultimi anni, non ha fornito molto più che quattro milioni e mezzo di dollari; ma l’apparizione di terreni auriferi, ad una così grande vicinanza dalle sponde dell’Atlantico, merita, sotto il punto di vista geognostico, un’attenzione maggiore di quella che l’Europa le ha accordato. Essa offre inoltre un grande interesse storico; giacché la grande quantità d’oro che i primi conquistadores spagnuoli trovarono in mano agl’indigeni della Florida, non deve più oggi essere considerata come proveniente da antiche relazioni col Messico (Anhuac) o con Haïti. M. Jacob, in un’opera già più volte citata sui metalli preziosi, ha potuto ancora estimare a soli 130 mila dollari il prodotto dei lavatoi dell’America settentrionale; ma pochi anni appress o si elevò ad 800,000 e fino ad 1,000,000 di dollari. Nella provincia di Cavarras (Carolina del Nord), si è trovato un ciottolo di 28 libbre (peso inglese, avoir du poids) e allato ad esso parecchi di quattro a dieci libbre . Dopo il mio ritorno dalla Siberia, ho senza Secondo i ragguagli manoscritti, che mi sono stati comunicati dal mio più antico amico M. Freiesleben, ispettore generale delle miniere, si sarebbe anche trovato nel 1821 in Auson County, in mezzo al quarzo e al grauwakenschiefer (letteralmente: schisto di wache grigio, basalto composto), un ciottolo d’oro del pesò di 48 libbre. Questi ragguagli erano accompagnati da una collezione di minerali, che il fratello del fu ispettore d’accademia Kohler inviò a Freiberg. — Perchè i dotti nord-Amerinon ci danno dei ragguagli più precisi su questi ciottoli d’oro colossali, di 28 e di 48 libbre? interruzione cercato, e quasi sempre inutilmente, di procurarmi dei dati esatti sulla continuazione delle lavature d’oro negli Stati meridionali; e appena poco tempo fa, ho avuto il piacere di vedere coronati da un buon successo i miei sforzi, grazie alla bontà dell’attuale direttore del Banco, M. Albert Gallatin, l’uno dei più abili uomini di Stato ai nostri tempi . Io riporto qui alcuni passi d’una lettera di quest’uomo, la cui scienza è stata da tanti viaggi ingrandita. Nato a Ginevra, ma stabilito agli Stati-Uniti fin dall’epoca della guerra dell’indipendenza, ministro delle finanze sotto la splendida presidenza di Jefferson, poi ambasciatore a Parigi, a Pietroborgo, ed a Londra. « I terreni auriferi dell’Ural, e forse di tutta l’Asia settentrionale, dovevano sicuramente attirare la nostra attenzione sui lavatoi, e sulla nostra produzione mineraria negli Stati meridionali. Io spero potere ben tosto rispondere alle vostre quistioni geognostiche per mezzo del professore Patterson che al medesimo tempo è direttore della zecca, e per mezzo del professore Renwick a Nuova York, entrambi mineralogi distintissimi. Oggi io vi spedisco, secondo i documenti ufficiali, il prospetto di tutto il danaro battutosi dopo il 1824 nella nostra zecca con oro indigeno . Questo prospetto si trova puro nel libro eminentemente istruttivo, intitolato : American Almanac and Repository of useful Knowledge for 1838 (Boston, Bower) p. 134. Questa piccola opera potrebbe servire di modello a molti libri consimili in Europa. Prospetto della annuale produzione d’oro monetatosi, ed estratto dalle miniere degli Stati Uniti. Annate. Virginia. Carolina Georgia. Tennessee. Alabama. Incerta. Totale. doll. Nord doll. Sud doll. doll. doll. doll. doll. doll. 1824 5,000 5,000 1825 17,000 17,000 1826 20,000 20,000 1827 21,000 21,000 1828 46,000 46,000 1829 2,500 134,000 3,500 140,000 1830 24,000 204,000 26,000 212,000 466,000 1831 26,000 294,000 22,000 176,000 1,000 1000 520,000 1832 34,000 458,000 45,000 140,000 1,000 678,000 1833 104,000 475,000 66,000 216,000 7,000 868,000 1834 62,000 380,000 38,000 415,000 3,000 898,000 1835 60,000 263,000 42,000 319,000 100 12,200 698,500 1836 62,000 148,000 55,000 201,000 300 467,000 374,500 2,465,600 298,000 1,680,300 12,400 1000 12,200 4,844,500 « Voi domandate quanto si dovrebbe a un dipresso aggiungere ogni anno, per compensare il contrabbando, alle somme che questa tavola presenta. Una simile valutazione sarebbe difficile a farsi; ma io credo potervi dire, con qualche certezza, che in nessuna annata la produzione dell’oro ha sorpassato un milione di dollari. La perdita derivante dal contrabbando è tanto più debole, che, secondo le più recenti fra le nostre leggi, l’oro nel suo rapporto coll’argento si calcola a due per cento meno del suo prezzo ordinario. Giusta queste leggi, il rapporto tra l’oro e l’argento è come 16 a 1. È per tal ragione che tutto l’oro prodotto dal paese entra nella nostra zecca. In generale gli antichi lavatoi decadono, soprattutto nella Carolina; nondimeno si scoprono sempre nuove vene ricche di oro, e lo scavo delle miniere aurifere, propriamente detto, lascia anche più grandi speranze ». A questi ragguagli interessanti, io aggiungo che le regioni dell’America settentrionale, le quali contengono oro, sono state recentemente visitate da un tedesco molto pratico nello scavo delle miniere, M. Carlo Degenhardt (attualmente a Clausthal nel Harz), e da M. Featherstonhaugh che ha scoverto dello stagno ossidato con del cinabro. Il guadagno, e con esso il gusto che si aveva per l’estrazione dell’oro in via di lavatura, e per lo scavo delle miniere aurifere, si sono affievoliti rapidamente dal 1835 in qua. Un paese il quale, insieme ad una prosperità sempre crescente, gode il vantaggio della massima libertà nelle sue relazioni, ha dei mezzi più sicuri per rendere produttivi i suoi capitali. Ma nella storia del commercio monetario le masse metalliche strappate al seno della terra e poste in circolazione, e il movimento di affluenza e rifluenza in diverse direzioni, interessano più che il passeggiero vantaggio derivante dallo scavo degli strati metallici. Le correnti dei metalli preziosi, che hanno per punto di partenza l’Asia e l’America, e vengono nel nostro piccolo continente, dal quale ritornano in patria verso il paese da dove sorsero, seguono, come i liquidi, la legge dell’equilibrio. Le regioni feconde di oro, ma poco note agli Europei, dell’Asia e dell’Africa interna, formano piccoli bacini, per così dire, chiusi, i quali non entrano che debolmente in relazione colle coste, e da esse col commercio generale del mondo. Da un altro lato, e sotto l’influenza dell’incivilimento occidentale, havvi un continuo moto di flusso e riflusso da Nertschinsk, l’Altaï e l’Ural, sino al di là dell’Oceano Atlantico sulle sponde del Missouri. Il valor di cambio di questi metalli, sia che vengano considerati nel loro rapporto reciproco, o come misura del prezzo delle mercanzie (prezzo delle sostanze alimentari e degli oggetti manufatti), non è per nulla determinato unicamente ed in generale dall’aumento o decremento della produzione metallica. Questo valore di cambio, in mezzo alle complicate istituzioni e relazioni della vita attuale dei popoli, è, lo ripeto, altrettanto determinato dall’aumento o diminuzione della popolazione, da’ suoi progressi nella civiltà, dal bisogno di un capitale circolante, bisogno che nondimeno dipende dalla popolazione medesima, ed è inoltre determinato dalla frequente necessità di spedire considerevoli somme di danaro, dalla direzione di tali rimesse, dalla differenza di logoramento nei due metalli, dalla massa della carta-moneta che fa parte del capitale circolante. Un rialzo nel valore relativo dell’oro, rispetto a quello dell’argento, può anche avvenire mentre la produzione dell’ oro generalmente si accresca, come l’abbassamento tran- sitorio del barometro, ed un’elevazione crescente di temperatura possono avvenire ad un tempo medesimo per effetto di un vento di nord-est. Nelle variazioni metereologiche dell’atmosfera, come nel commercio generale dei metalli preziosi, vi sono molte cause perturbatrici che agiscono simultaneamente. Il risultato di ciascuna, presa isolatamente, in quanto innalzi o abbassi il prezzo, si può determinare; ma ciò che non si può in mezzo all’innumerevole quantità di perturbazioni che si aggiungono e si accumulano, è la misura dei parziali compensi, è la natura e la misura dell’effetto totale. Gli aumenti di prodotto, dei quali la nostra immaginazione è sorpresa, spariscono, per così dire, come un infinitamente piccolo nella massa accumulata da migliaia d’anni, e che il commercio generale mantiene in circolazione, sia che si supponga ridotta in moneta, o convertita in oggetti di oreficeria. Ogni nuovo aumento agisce, senza alcun dubbio, per un lungo corso di tempo; ma come una popolazione maggiore ed una prosperità crescente ha bisogno ancora d’un maggior capitale circolante, così può darsi che, malgrado l’aumento nella quantità del metallo, si generi, per effetto della divisione, una sensibile penuria metallica. Prima delle grandi scoperte dei filoni d’oro nel versante orientale dell’Ural, la cui vera prosperità non cominciò che nel 1823 e 1824, il valor di cambio dell’argento, riguardo all’oro, fu per termine medio, dal 1818-1822, come 1 a 15, 75; e nondimeno, dopo i fecondi scavi dell’Ural, esso non cadde, negli anni 1830-34, per termine medio, che ad 1 : 15, 73. In questo intervallo, come sopra ho detto, 1,294,000 marchi d’oro si erano monetati in Inghilterra, per ristabilire il cambio col mezzo dell’argento metallico. Qual è adesso la parte che in questa variazione del valor di cambio , ha avuta la diminuzione delle Io comunico qui i risultali di diligenti ricerche, che devo all’amicizia d’un uomo egualmente pratico delle quistioni economiche, delle commerciali, e delle politiche. M. Joseph Mendelsohn ha raccolto, a mia instanza, i prezzi ufficiali dell’oro, e dell’oro in verghe (non monetato) a Londra e ad Amburgo, dal 1816 al 1837; ed ha calcolato la media di ciascun anno. « A Londra i rapporti dei metalli, turbati da una lunga guerra, furono molto anormali dal 1816 al 1819; nel 1816, furono come 1 a 15,800; e nel 1819, come 1 a 14,975. Non fu prima dell’anno 1820 che una maggiore fermezza cominciò a farsi sentire in Londra riguardo a tali rapporti. Gli estremi furono nel 1825 e 1833, anni nei quali giunsero a 1 : 15, 319 e 1 : 15, 899 (differenza 7 1/26). Non vi fu movimento continuo di rialzo o ribasso. Sul mercato di Amburgo le oscillazioni furono molto più deboli. Il rapporto crebbe il più nel 1821, decrebbe nel 1827: nel primo anno fà come 1 a 15, 965; nel secondo come 1 a 15, 635. Differenza in 21 anni solamente 4 1/39. Ma il mercato di Amburgo è molto più atto a fornire una giusta estimazione del rapporto del valore di cambio dei metalli. A Londra il prezzo dell’oro non coniato e dell’argento sono entrambi variabili: ambi i metalli cambiano con moneta metallica inglese, o con carta rappreseutante la moneta. All’incontro in Amburgo l’argento monetato non ha prezzo fisso, ed è egli medesimo la misura da cui tutti gli altri prezzi vengono determinati. Il marco fino di Colonia a 27 3/4 marco banco, è il valore in cui tutte le merci, e per conseguenza anche l’argento monetato, si evalutano. I rapporti fra i prezzi dei due metalli van soggetti in Londra a delle casuali e doppie influenze, comparativamente ad Amburgo. Quando a Londra si deve comprare con oro una quantità considerevole d’argento, bisogna che prima si venda l’argento, il che ne fa un poco decadere il prezzo. Coll’argento acquistatosi si compra l’oro, e quindi il suo prezzo si eleva. Se una tale operazione è di qualche importanza, il rapporto dell’oro riguardo all’argento s’innalza doppiamente, perchè l’oro monta, e l’argento scende. Per una operazione consimile, ad Amburgo non si fa alcuna vendita d’argento. Il prezzo di questo metallo è invariabile; e il rialzo dell’oro prodotto dalla domanda è unicamente ciò che modifica il rapporto. Ecco qui alcune cifre tratte dal prospetto dei rapporti di Amburgo, comunicatemi pure dal mio amico: 1816 15,790 1817 15,635 1818 15,685 1819 15,642 1820 15,660 1825 15,693 1826 15,750 1827 15,727 1828 15,776 1829 15,769 1833 15,748 1834 15,663 1835 15,693 1836 15,733 1837 15,771 esportazioni dei metalli preziosi provenienti dal Nuovo-Mondo? Non è necessario ricordare i lavatoi brasiliani, perchè in questo tempo essi non fornirono die 1700 marchi ogni anno, quand’anche si ricordasse che, nei dodici anni più prossimi allo scoppio della rivoluzione, la produzione dell’oro nell’America spagnuola cadde al disotto di un terzo di ciò che era nell’ultima epoca florida (1800-1806) il rapporto medio; la perdita per l’importazione, negli undici anni (1816 1827), non si eleverebbe nondimeno che a chil. 85,200. Ma da un altro lato l’Ural dal 1823 al 1827 ha già dato un compenso di chil. 17,300. Nel corso di questi dodici anni dunque l’Europa non ha ricevuto che 286,000 marchi d’oro, meno di quel che soleva. Io ho scelto ancora un esempio che offrisse elementi numerici abbastanza sicuri. 11 risultato si è che nel corso dei dodici anni una massa d’oro, che tiene il mezzo fra un quarto ed un quinto dell’oro monetatosi nella zecca di Londra, si è dovuta risparmiare. Se si considera il valor di cambio dei metalli preziosi, senza tener conto dei rischii puramente locali, per esempio, il valore dell’oro in verghe ad Amburgo non vi si riconosce dal 1816 al 1817, nè l’influenza della produzione asiatica, nè la diminuzione del prodotto dell’America spagnuola. Il maximum che il valor di cambio dell’oro sortì nel 1827, si è mantenuto con deboli oscillazioni sino al 1832. A quest’epoca un ribasso insensibile, ma regolarmente progressivo, si fa notare. L’oro russo, uscito dalla catena dell’Ural e dalla Siberia, ha prodotto una parte di questo effetto; ma non dobbiamo dimenticare che tutta la produzione dell’oro russo, quantunque importante sotto un altro aspetto ci sembri, pure non si eleva, dal 1823 al 1837, che a 302 mila marchi, cioè un diciannovesimo meno che la debole esportazione d’oro dall’America spagnuola nell’intervallo corso fra il 1816 e il 1827. Oggi ancora nella Repubblica del Messico e dell’America meridionale, la produzione dell’oro si è meno rilevata che quella dell’argento. Inoltre gli Stati- Uniti usciti appena dai loro grandi imbarazzi finanziarii e bancarii, abbisognano di grandi quantità d’oro, che loro sono spedite dall’Europa. È questo uno sbocco dell’oro verso l’occidente che, insieme all’azione continua di molle altre cause, maschera l’effetto che noi siamo disposti di attribuire all’accrescimento della produzione asiatica. La causa principale del debole effetto della produzione d’oro nell’Ural, e nell’Asia settentrionale, si trova, come l’ho già notato più volte, nella relativa debolezza della importazione paragonata alla massa già circolante. Lo sbocco verso l’Asia, che io ebbi l’occasione di studiare in un altro luogo, Sulle quantità relative di metalli preziosi ridotti in oggetti d’oreficeria, e sui cangiamenti che prova l’accumulazione dei metalli preziosi in Europa. Nella 2a edizione del mio Saggio politico, t. III, p. 436-44 e p. 460-76. Una difesa delle mie Idee sull’accumulazione dei metalli preziosi si trova nell’Edinburg Review, 1832 aprile, p. 43-61. a diverse epoche, è decisamente in decadenza. Per l’anno 1831 M. Jacob calcolava ancora a 2 milioni di lire sterline la perdita annuale del bilancio commerciale inglese nel traffico coll’Asia per la via del Capo di Buona Speranza. Per quanto io mi ricordo, era anche l’opinione del grand’uomo di Stato, prematuramente rapitoci, M. Huskisson. Malgrado il considerevole bisogno di caffè, di thè, di zucchero, di cacao, che il xv secolo non conosceva, il commercio delle droghe è ancora un oggetto considerabilissimo nel bilancio passivo del commercio europeo. Negli Stati che compongono la lega doganale germanica, il consumo delle droghe, secondo le più recenti ricerche affatto ufficiali, è asceso, nel corso degli anni 1834, 1835 e 1836, a un valore di : 2,426,000 talleri. 2,592,000 4,876,000 » Dieterici, Prospetto statistico del commercio nella lega doganale nel 1838, pag. 187 a 194. Nei tre primi anni sopra enunciati, la popolazione racchiusa nello Zollverein era di 23,478,000; ma nell’anno 1836, fu di 25,148,000. Il consumo delle droghe in Francia (Prospetto decennale del commercio della Francia pubblicato dall’amministrazione delle dogane per gli anni 1827-36) è di una palpabile inferiorità rispetto a quello degli Siati che formano lo Zollverein. La consumazione relativa delle due nazioni, prese isolatamente che io sottopongo al lettore nella tavola che segue, in franchi e chil. per la Francia, ed in talleri e quintali di Prussia per gli Stati alemanni, sparge qualche luce sul modo di vivere dei due popoli vicini. Un lungo studio sulla geografia del medio evo e sull’influenza così tardiva che il viaggio di Gama ha esercitato sull’intiera trasformazione del commercio delle droghe, mi condussero ad uno speciale lavoro sull’attuale consumo delle droghe in Europa. Il consigliere di Stato M. Dieterici mi ha comunicato per questo lavoro, ed in manoscritto, nuovi ed importanti materiali. Principali droghe che si consumano Francia 33,000,000 d’abitanti. Zollverein 23 1/3—25,000,000 abit. 1834 1835 1836 1834 1835 1836 fr. fr. fr. tall. tall. tall. Pepe e pimento 3,267,000 (2,333,000 chil.) 2,322,000 (1,658,000 chil.) 2,796,000 (1,997,000 chil.) 292,100 (17,000 q.) 336,000 (20,200 q.) 440,000 (24,900 q.) Vaniglia 1,178,000 (4,700 chil.) 1,259,000 (5,000 chil.) 1,412,000 (5,600 chil.) 584,000 (242 q.) 707,000 (293 q.) 813,000 (337 q.) Canella 694,000 (158,000 chil.) 82,000 (18,700 chil.) 338,000 (77,000 chil.) 426,000 (1,215 q.) 380,000 (1,100 q.) 407,000 (1,160 q.) Garofani 271,000 (60,300 chil.) 240,000 (53,000 chil.) 240,000 (53,000 chil.) 71,000 (1,800 q.) 83,000 (2,178 q.) 95,500 (2,500 q.) Noce moscata 33,000 (6,200 chil.) 27,000 (4,600 chil.) 36,200 (7,200 chil.) 543,700 (2,400 q.) 553,000 (2,900 q.) 584,000 (3,400 q.) 5,476,000 ovvero chil. 2,600,000 3,982,000 ovvero chil. 1,775,000 4,856,000 ovvero chil. 2,171,000 2,426,000 ovvero quint. 28,600 2,592,000 ovvero quint. 31,600 2,876,000 ovvero quint. 38,000 In Francia il consumo non è stato, nei medesimi anni, che di 5,476,000 franchi. 3,982,000 4,856,000 Ma in tutta l’Europa, sopra una popolazione di 228 milioni d’anime almeno, non si innalza probabilmente a meno di 14 a 16 milioni di talleri, somma della quale la vaniglia, le noci moscate, il pepe, e la cannella, assorbiscono quasi i due terzi. Quando si pensa quanto la somma del valore delle droghe, per effetto dell’attuale consumo europeo, dev’esser grande comparativamente alla somma sulla quale, nella fine del secolo xv, aggiravasi, per così dire la parte precipua del commercio internazionale d’allora, si ha un nuovo e notabile esempio della potenza dei metalli, quando essi esercitano con una forza concentrata la loro influenza sopra un piccolo spazio (allora sulle sponde del Mediterraneo e sull’Europa occidentale). Il traffico delle droghe diede luogo per caso alla scoverta del Nuovo continente. Condusse i Portoghesi, per via della punta meridionale dell’Africa, verso l’India, come altra volta aveva condotto i Greci e i Romani verso Taprobana. Allorché Cristoforo Colombo vuol pervenire in Oriente per la via d’Occidente, Paolo Toscanelli, di Firenze, gli scrive, il 24 giugno 1474: « Io mi rallegro a sentire che voi nudrite il grande e bel desiderio di arrivare per una via più breve nel paese, onde nacen las especerias ». Di quali doglianze non son pieni gli scritti degl’ Italiani, di quali maledizioni i Portoghesi non sono sovraccaricati, perchè han penetrato nell’India per la via di mare, e minacciano di annientare il commercio delle droghe dei negozianti veneziani, pisani, e genovesi! Il Cardinal Bembo lo chiama un malum inopinatum, e cerca motivi filosofici per consolarsene. Pietro Martire di Anghiera , scrive al suo dotto amico Pomponio Leto: Portugalenses trans æquinoxium aliamque arcton, aromatum commercia prosequuntur, Alexandrinos ac Damascenos mercatores ad medullas extenuant. L’opinione che i Genovesi avevano sparso, che la nuova via attorno al Capo di Buona Speranza si sarebbe ben presto abbandonata, perchè, dicevano essi, le droghe si guasterebbero per effetto dell’aria marina in un si lungo viaggio, non trovò alcun credito; ed Americo Vespucci, quest’uomo per tanto tempo calunniato, aveva anche in ciò, con la sua penetrazione ordinaria, tre anni soltanto dopo Gama, colpito il vero punto della quistione. In una lettera recentemente scoverta , che egli scrive a Lorenzo Pier Francesco de’ Medici, il 4 giugno 1501, presso il Capo di Buona Speranza, dopo avere incontrato il resto della flotta Cabral che ritornava verso il Tago, dice : « Bentosto voi Historiae venetae, libro 6° p, 189. Opus epistolarum, num. CCII. È quello che nel 1520 diceva in Russia Paolo Centurione (di Genova), quando voleva stornare il commercio delle droghe, per il Mar Caspio, e i fiumi Volga, Occa, e Mokwa : « Affirmava el Genoves corromperse las especias (especerias) en tan larga navegacion ». (Gomara, historia de las Indias; Saragozza, 1553, fol. XL). Baldelli, Il Milione di Marco Polo, 1827, t. I, p. LVIII. La lettera di Vespucci è nella Biblioteca Ricardiana, manoscritto di Pier Voglienti num. 1910, p. 48. Vespucci ebbe questi ragguagli sul viaggio di Cabral da un interprete che egli chiama sempre soltanto il signor Guasparre, e che trovò sopra un a nave la quale tornava in Portogallo. Io ho recentemente mostrato che questo Guasparre era figlio di un ebreo polacco di Posen, i cui parenti erano stati espulsi nel 1456 da Casimiro III. Vasco de Gama aveva trovato quest’uomo nell’isola Anjadiva (Ankediva), presso la riva chiamata Canara : l’aveva dapprima sottoposto alla tortura, e poi battezzato. Vedasi il mio Esame critico della storia della Geografia, in-fol., pag. 507. saprete delle cose nuove del Portogallo. Il re avrà ben presto un immenso commercio e grandi ricchezze. Possa il cielo favorirlo colle sue benedizioni (Vespucci serviva allora al Portogallo). Ora le droghe andranno dal Portogallo in Alessandria ed in Italia (invece di andare, come solevano, da Alessandria in Portogallo). Così va il mondo! »