Dei Popoli che mangiano terra: Notizie tratte dalle Vedute della Natura (Ansichten der Natur) del sig. de Humboldt vol. 1, p. 142 . Traduzione. Vedi Annales des Voyages de la Géogr. et de l’Hist. par Malte Brun tom. II, cah. 2, pag. 248. Sulle spiagge di Cumana, della Nuova-Barcellona e di Caracas ci fu detto di una nazione che mangia terra; questa notizia vi era stata generalmente diffusa dai Monaci francescani della Guayana che di ritorno dalle loro missioni passano per quelle provincie. Ai 6 giugno del 1800, discendendo il Rio Negro e l’Orenoco, noi ci fermammo un giorno intero nella missione stabilita tra gli Otomachi, che sono appunto il popolo mangiator di terra. Il villaggio o piuttosto casale, presentante una veduta pittoresca sul chino di una roccia di granito, chiamasi Concepcion de Uruana. Io ne determinai la posizione geografica a 7 gradi, 8 minuti e 3 secondi di lat. bor., e a 4 ore, 38 min. 38 sec. all’ occid. del merid. di Parigi. La terra che gli Otomachi s’ingozzano è una vera argilla plastica o terra da stoviglie, grassa, dolce, di color giallo grigio in grazia di una picciola quantità di ossido di ferro. Essi la cernono in certi banchi sulle rive dell’ Orenoco e della Meta, distinguendo col gusto una spezie di terra dall’ altra, giacchè non mangiano indifferentemente tutta sorta d’ argilla. Indurano quella terra da loro prescelta in palle di 4 o 6 pollici di diametro, cui poscia espongono al fuoco sinchè la crosta ne rosseggi, ed inumidiscono lorchè ne vogliono mangiare. Quegli Indiani, generalmente parlando, sono in sommo grado selvaggi, ed aborriscono la coltura de’vegetabili. Le popolazioni più lontane lungo l’Orenoco volendo indicare una cosa sucida soglion dire; la mangiarebbe un Otomaco. Sinchè le acque dell’Orenoco e della Meta si mantengon basse, gli Otomachi si nutrono di tartarughe e di pesci, uccidendo questi a colpi di freccie al momento che compajono a fior d’acqua, specie di caccia in cui gl’ Indiani sono mirabilmente destri. Quando i fiumi s’ingrossano, il che periodicamente addiviene ogni anno per due o tre mesi, la pesca cessa, ed allora gli Otomachi s’ingollano una quantità prodigiosa d’argilla. Noi ne vedemmo delle grandi provviste nelle loro capanne, ove tengono quelle palle ammucchiate in piramidi. Un di loro se ne divora ogni giorno da tre quarti di libbra sino a una libbra e un quarto, per ciò che ce ne disse un monaco di buon senno Fray Ramon Bueno che visse dodici anni tra quei popoli: e ci assicurarono eglino stessi che quell’argilla formava il principal loro nutrimento durante la stagione piovosa. Nondimeno, quando loro accada di averne, vi uniscono tratto tratto *redundant* una lucertola, un picciolo pesce o una radice di felce. Quel nutrimento sembra loro si delizioso, che pure nella stagione secca e quando hanno de’pesci in copia si mangiano, quasi per confettura, alcune palle di argilla. Essi hanno la tinta rosso-brunastra, i lineamenti deformi e simili a quelli dei Tartari, il corpo obeso senza esser panciuti. Il missionario francescano che visse fra loro ci assicurò, che la loro salute non soffre alterazione veruna nel tempo che si cibano di terra. Ecco dei fatti: Quest’ Indiani mangiano una gran quantità d’argilla senza pregiudizio della loro salute; riguardano questa terra siccome un eccellente cibo, e ne fanno provvista per l’inverno o per la stagione piovosa. Ma questi soli fatti non bastano per decidere; se l’argilla offra loro una sostanza nutritiva? se le terre possano assimilarsi dai sughi del nostro stomaco? o se non servano a questo che di zavorra, e solo distendendone le pareti facciano con ciò cessare il senso di bisogno d’alimento? Io non m’ardisco di sciogliere cotali quistioni . Le quistioni, che qui propone e non risolve il sig. Humboldt, interesseranno l’attenzione dei medici. Non si vorrà ammettere nell’argilla, nella calce o in altre simili terre una qualità nutriente, chè troppo a tale supposizione si oppongono le idee generalmente adottate circa alle sostanze alimentari e circa alla funzione della nutrizione: nè la distensione che il loro volume produr può *può* nello stomaco, ancor che recasse il temporario vantaggio di acchetare il senso del bisogno d’alimento, vorrà credersi sufficiente ad esaurire un reale bisogno, che ingannato al più e non soddisfatto farebbesi sentire sempre più forte ed imperioso. Ma quelle terre oltre all’essere inette alla nutrizione, non possono riguardarsi come inerti ed indifferenti sull’animale economia: esse devono esercitare un’azione sulla *sulla* fibra, e se non nutriente, dunque medicamentosa, come già d’alcune d’esse è dimostrato nei libri di materia medica, e tanto più nei casi indicati da Humboldt, che dice contenersi in quelle terre sostanze metalliche ed in istato d’ossido. La quistione dunque si riduce a spiegare, come un gran numero di abitanti dei paesi caldi possono per un certo tempo vivere senza sostanze alimentari, ed invece ingojarsi una notabile quantità di sostanze medicamentose; come quest’uso lungi dal nuocere alla loro salute, sia un mezzo di conservarla. Se l’autorità del rispettabile viaggiatore che racconta questi fatti non imponesse credenza, se questi fatti non s’accordassero con simili narrati da altri viaggiatori, taluno saria forse tentato a negarli. Solo come ragionevoli conghietture io m’ardisco di proporre le seguenti riflessioni. Egli è certo che il bisogno d’alimento è proporzionale alle perdite giornaliere dell’individuo vivente, e allo stato della sua salute; cioè in ultima analisi la quantità e qualità dell’alimento sta in ragione della diatesi: nella diatesi stenica scema ed anzi talora cessa il bisogno di nutrimento, e subentra il bisogno di medicamenti che nel comun linguaggio si chiamano debilitanti. Le storie mediche offrono degli esempj di prodigiose astinenze, che spiegare non si possono senon con questo principio. Bisogna dunque che in abituale diatesi stenica si trovino gli abitanti dei climi caldi, e spezialmente quelli che un uso si grande fanno di terra. Il calore del clima è la principale causa di questa loro stenica disposizione; infatti l’alimento nei caldi climi è universalmente più debilitante e più scarso che nei paesi temperati e freddi, e gli Europei che colà si portano devono a tal genere di vitto necessariamente adattarsi: la mancanza d’esercizio muscolare, la vita inoperosa ed infingarda sono altre cause di stenia; presso di noi la vita sedentaria dà origine a una numerosa serie di malattie lente steniche, ch’è inutile qui estesamente indicare; e gli abitanti de’caldi climi che più usano di tali terre sono quelli appunto che aborriscono la vita agricola, e che infuor della pesca, o d’altro più trastullo che travaglio, conducono, e spezialmente nei mesi in cui si pascono unicamente di terra, i loro giorni nell’assoluta inattività. Confermasi una tale opinione al riflettere, che i Negri della Guinea trasportati nelle Indie Occidentali ammalano se mangiano terra, mentre innocuamente ne usarono nella loro patria: non mutarono essenzialmente di clima, ma cangiarono di vita: obbligati ad un duro e continuo travaglio essi provano il bisogno di una dieta più stimolante; le terre debilitanti riescono loro nocive, perchè la vita esercitata elide la causa stimolante del clima: eglino appetiscono ancora il vitto di terra, perchè abituaronvi il loro gusto; forse può loro sembrare grato il sapore delle terre, ed amano ripetere quelle sensazioni ancor che l’effetto riesca dannoso. Tra di noi nei climi temperati e freddi mangiano argilla e terre le gravide, le clorotiche, i fanciulli rachitici, scrofolosi ed altri individui tutti morbosamente viventi in lente diatesi steniche; e non tanto il bisogno di liberare il loro stomaco da sughi acidi che vi possono abbondare, quanto quello di deprimere l’abituale loro stenia gl’induce all’uso di tali sostanze. Alcuni lettori s’accorgeranno che queste idee toccate solo di volo fluiscono da certi luminosi principj, che ad onore della Medicina Italiana un nostro concittadino va da lungo tempo coltivando, e sino ad ora solo privatamente e con non comune disinteressatezza diffonde; le riflessioni che ho esposto vorrebbero più comune la conoscenza di sì fatti principj per maggiore loro appoggio: io mi reco ad onore di accennare la fonte privata d’onde le attinsi, e di rendere il tributo che devo a chi mi fu ed è maestro e guida. Possano le idee di questo medico filosofo rendersi di comune diritto, e crescerà allora il numero di quelli che a lui dovranno più onorevoli omaggi. (Nota del Tradutt.) È cosa singolare che il padre Gumilla, autore per altro così credulo e mancante di critica, abbia creduto buono di negare che gli Otomachi mangiano terra pura (Histoire de l’Orénoque t. 1, p. 283); pretendendo si bene che le palle d’argilla sono impastate con farina di maiz e grasso di coccodrillo. Ma il missionario Fray Ramon Bueno, e il nostro amico e compagno di viaggio frate laico Fray Juan Gonzalez ci assicurarono tutti e due, che gli Otomachi non mettono mai grasso di coccodrillo in quelle palle; e quanto al mescolarvi farina di maiz non ne abbiamo sentito parola in Uruana: noi portammo in Francia di quella terra, e il sig. Vauquelin, che ne fece l’analisi chimica, la trovò pura e senza miscuglio alcuno. Forse il padre Gumilla, confondendo due fatti diversi, intendeva alludere alla maniera con che gli Indiani preparano del pane coi baccelli di una spezie di Inga, poichè essi interrano questo frutto, onde più presto si decomponga, e riesca atto all’uso che ne vogliono fare. Ma come avviene che gli Otomachi ingollandosi una sì gran quantità di terra, non ne provan danno di sorta? Si sono eglino con una lunga serie di generazioni formato una natura singolare? Egli è vero che in tutti i paesi posti fra i tropici l’uomo prova un singolare e quasi irresistibile desiderio di mangiar terra, e non già terra alcalina o calcarea che servir potrebbe a neutralizzar degli acidi, ma grassa e di odor forte; che quegli abitanti spesso devono, dopo una pioggia, tener chiusi in casa i fanciulli perchè non vadano a divorar terra: che le donne indiane del villaggio di Banco sulle rive del fiume de la Maddalena, che attendono a fabbricare stoviglie, si cacciano spesso dei pezzi di terra in bocca, come le vidi con mia sorpresa fare io stesso . Ma in fuor degli Otomachi gl’individui tutti delle altre tribù ammalano quando cedono a questa strana voglia d’argilla. Nella missione di San Boria noi vedemmo un ragazzo indiano il quale, ci diceva sua madre, non voleva prendere altro nutrimento che terra, ed era smunto e secco come uno scheletro. La stessa cosa era stata osservata da Gily, Saggio di Storia Americana t. II, pag. 311. Nell’inverno i lupi mangiano terra, e principalmente argilla plastica. Per che avviene che nei climi temperati e freddi questa stravagante voglia di terra è tanto rara e quasi circoscritta alla classe dei fanciulli e delle donne gravide? Nei paesi all’opposto situati tra i tropici può riguardarsi come, direi quasi, generalmente adottato il costume di mangiar terra. I negri della Guinea ingozzano abitualmente una terra giallastra che addimandano cahouac; e quando sono condotti schiavi nelle Indie occidentali cercano di aver una terra simile. Eglino assicurano che un sì fatto cibo non induce loro nell’Africa malore alcuno; ma nelle isole il cahouac fa ammalare gli schiavi; sicchè vi è proibito il mangiar terra: alla Martinica però nel 1751 si vendeva secretamente in sui mercati una spezie di tufo rosso-giallastro: e a tal proposito dice un autor francese : «I negri ne sono sì ghiotti, che non v’ ha punizione che trattener li possa dal divorarne.» Thibault de Chanvalon p. 85. Nell’isola di Java, tra Sourabaya e Samarang, Labillardière vide vendersi nei villaggi certe picciole foccaccie quadrate rossastre, che gl’indigeni chiamavano tanaampo: esaminatele, le trovò fatte di pura argilla . Gli abitanti della Nuova Caledonia acchetano la fame divorandosi dei pezzi grossi, quanto un pugno, di una specie di talco friabile, che Vauquelin trovò contenere non picciola quantità di rame . A Popayan e in molte parti del Perù la terra calcarea si vende in sui mercati come usuale alimento degl’Indiani, che se la mangiano col coca o sia foglie dell’Erytroxylon peruvianum. Quest’ uso pertanto di nutrirsi di terra, uso a cui la natura sembrerebbe invitare piuttosto gli abitanti degli sterili paesi del settentrione, regna sotto tutta la zona torrida, presso quelle torpide popolazioni che occupano le più belle e le più fertili contrade dell’universo. Voyage à la recherche de La Peyrouse t. II, p. 322. Ibid. p. 205. B. A.